Mi piace molto quest'usanza giapponese di bere tè verde durante i pasti. Mi ricorda la stessa abitudine che hanno anche i russi di bere il tè accompagnandolo ai pasti, un po' come fosse la nostra acqua naturale.
Inoltre in Giappone esiste la cosiddetta cerimonia del tè, anche conosciuta come Cha no yu, che affonda le proprie origini in un tempo antichissimo. Si dice che fu un monaco buddista del VI secolo a creare la prima pianta del tè. Durante una delle sue meditazioni, infatti, per rimanere sveglio e combattere l'incombente stato di trance, si tagliò le palpebre e queste cadendo diedero origine alla pianta del tè. A quel tempo il consumo del tè era, quindi, riservata ai monaci. In seguito, si diffuse anche nella popolazione comune, prima presso l'aristocrazia e poi nella classe mercantile e infine tra i samurai che facevano della cerimonia del tè un elemento del codice di condotta che li avrebbe accompagnati nella disciplina che caratterizzava la vita dei guerrieri.
La storia ci dice che il maestro indiscusso della cerimonia del tè fu Sen no Rikyu originario della prefettura di Osaka, che fece della cerimonia del tè una vera e propria forma d'arte.
Quest'arte fu influenzata dalla filosofia zen, che esaltava la purificazione dello spirito in relazione alla natura.
Ad oggi la cerimonia del tè si svolge come una sorta di rito dalle regole e dalle gesta indiscutibilmente intoccabili. Il rito ha una ragione d'essere in ogni minima espressione.
Innanzitutto è fondamentale il luogo nel quale si svolge. L'isolamento, il silenzio e il vuoto sono tre elementi indispensabili. Di solito la cerimonia si svolge in una stanza adiacente alla casa detta cha shitsu o, addirittura in un giardino in perfetta armonia con la natura circostante. Fin dall'antichità, l'essenzialità del luogo rappresentava lo scopo ultimo della meditazione, ovvero raggiungere un senso di allontanamento dalle ansie e dalla materialità quotidiana. Il vuoto giustifica questo allontanamento o isolamento dalle distrazioni della mente e quello stesso vuoto mentale giustifica e rappresenta l'estrema spiritualità della cerimonia. Infine, il rito deve svolgersi nell'assoluto silenzio e il rito si svolge con dei gesti fissi e lentissimi. Queste regole e questa rigidità garantiscono che nulla turberà la riuscita e la serenità che il rito infonderebbe. Di solito è il padrone di casa che si occupa della cerimonia, ma anche gli ospiti devono seguire delle regole precise, prime fra tutte quelle della fissità e lentezza dei movimenti. Il padrone di casa, inoltre, ha una precisa collocazione all'interno della stanza che si chiama tokonoma. Si tratta di una nicchia all'interno della parete, alla quale si appenderanno rotoli di scritti e dei lavori di ikebana.
Insomma, dagli attrezzi, all'abbigliamento fino alle pratiche di conclusione della cerimonia, il rito rispetta ancora oggi delle regole incredibilmente contrastanti con l'elemento frenetico e rumoroso che suscitano, invece, le gesta quotidiane del Giappone moderno. Questa cerimonia che ancora sussiste in una società divisa a metà tra l'antichissimo e il moderno dimostra l'attaccamento del Giappone alle sue tradizioni.
Un mese fa il mio amico giapponese Taichiro, ovviamente, non ha mancato di portare con sè delle magnifiche confezioni di tè verde giapponese originale. Uno, in particolare, mi è piaciuto; quello ricavato dal riso. Quando bevo tè verde, o meglio, quando decido di berlo mi accorgo spesso che devo essere in un particolare stato d'animo. Non posso bere il tè giapponese davanti ad una vending machine o di corsa, piedi prima di andare da qualche parte. La maggior parte delle volte, mi piace gustarlo mentre mangio giapponese o alla sera, per acquistare un po' di pace o magari mentre leggo un po' di quel Murakami che adoro così tanto.
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