Durante una lezione di lingua russa all'università, ebbi modo di ascoltare una poesia recitata da Anna Achmatova. Si trattava di un'incisione su disco. Mi colpì terribilmente il ritmo delle poesie di questa immensa 'poeta', che preferiva l'appellativo maschile a quello femminile.
Più che poesie sembravano preghiere, più che versi sembravano suppliche, lamenti, pianti.
La tragicità di Anna Achmatova rasenta lo strazio, la sua, fu la voce lirica di un intero popolo che viveva gli anni più bui e turpi della propria storia.
Quando penso alla vita di questa donna, penso al terribile destino che l'ha accompagnata. Un marito fucilato perchè nemico del popolo e un figlio imprigionato dal 1935 al 1940, in piena era di purghe staliniane. Un figlio che ha vissuto il carcere e del quale l'Achmatova non ebbe notizia per ben 17 mesi, che trascorse in fila davanti alle prigioni di una Leningrado in stato d'assedio e della quale scrisse la disgrazia di quel tempo.
Come si può cantare un dolore e farlo diventare arte? L'Achmatova c'è riuscita fino alla fine dei suoi giorni. L'hanno lasciata cantare come un usignolo, come il pettirosso d'inverno con la spina nel cuore. Le hanno tolto l'aria intorno e con l'ultimo fiato rimasto ha scritto d'amore, di morte, di sofferenza, di Russia e, per questa, ha lasciato un'eredità letteraria quasi insuperabile nella storia della poesia al femminile.
La prima poesia che mi colpì, la prima poesia che una mia prof del liceo mi lesse, la ricordo come uno dei momenti più drammatici della mia formazione culturale. Quella poesia inferse una ferita artistica nella mia sensibilità di sedicenne, della quale ancora porto un'ideale cicatrice. Quello strappo di un ultimo brindisi, dal quale nemmeno dio si salvò, portò via da me l'ultima certezza che potesse esserci una mano superiore a guidare il destino della Russia. Essa era sempre stata abbandonata a se stessa. Io vidi nella poesia che vi ho trascritto qui sotto, non tanto il destino di una donna, ma il destino dell'intera Russia; come terra, come popolo, come madre.
ULTIMO BRINDISI
Bevo a una casa distrutta
alla mia sciagurata vita,
a solitudini vissute in due
e bevo a te:
all'inganno di labbra che tradirono,
al morto gelo dei tuoi occhi,
ad un mondo crudele e rozzo,
ad un Dio che non se n'è salvato.
Bellissima poesia!
RispondiEliminaConosciuta da poco e subito diventata una delle mie poetesse preferite.
RispondiEliminaHS