Mi chiedo come Margaret Mazzantini abbia potuto scrivere un libro del genere.
Intendo, voleva proprio farci del male quasi fisico nel raccontare questa storia. Ogni pagina è ruvida e deturpante come una granata, sanguina dolore e tristezza proprio come accade quando si pensa ad una guerra, provoca rabbia e rancore, di quello che probabilmente provano donne alle quali non è dato poter essere madri.
La storia è piuttosto banale, scontata. Ma c'è qualcosa che mi fa salvare questo libro. L'ho trovato pesante, prolisso, squallido, ridondante, privo di colpi di scena se non solo verso il finale. L'ho trovato smielato, scontato e a volte inverosimile nella trama, eppure c'è qualcosa di cui vorrei sottolineare la qualità.
Il modo di scrivere della Mazzantini. Credo ci sia un vero e proprio talento letterario nel riuscire a dare, ad una storia mediocre, un involucro potentissimo ed estremamente singolare attraverso una scrittura eccellente.
Le immagini, le metafore, le digressioni, le riflessioni della protagonista femminile, che è l'io narrante del romanzo sono davvero inusuali, inaspettate, colpiscono dritte al cuore, come gli spari di quei cecchini di cui si parla raccontando la guerra.
L'autrice ha gettato, nel bel mezzo di una descrizione bellica, le sue impressioni di madre mancata, ha raccontato la nascita di un figlio acquisito con parole laceranti, mondane e volgari. Ha mischiato la vita con la morte, l'amore con la guerra, la follia amorosa con il tradimento e ha riprodotto le sembianze di una donna algida, sterile e sgraziata in un ritratto di donna forte, determinata, inarrestabile.
La storia racconta l'incredibile odissea di una donna che ricerca instancabilmente il suo diritto ad avere un figlio e si ritrova immersa in tragedie di proporzioni titaniche, eppure la ricchezza del suo pensiero e delle sue emozioni abbelliscono questo stancante romanzo. Da leggere soprattutto se appassionati dell'autrice.
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