MATRIOSKla

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venerdì 31 gennaio 2014

HP, la salsa del parlamento

Forse per via dell'estetica così raffinata e sfacciatamente British dell'etichetta, o forse per la mia affezione alle due lettere che ne costituiscono il nome, la salsa HP di derivazione inglese, è una delle mie ultime scoperte in fatto di preferenze culinarie. La storia le conferisce già quel sapore, in tutti i sensi, storico che qualsiasi cosa che esca dal regno di Sua Maestà si porta addosso; cioè il fascino della tradizione e delle origini. HP, oltre ad essere le iniziali di uno dei miei pochi adorati idoli, è anche l'acronimo di House of Parliament. La storia dice, infatti, che nel 1895 Sir Frederick Gibson Garton inventò la sua salsa nella fabbrica di Nottigham e non appena scoprì che un ristorante della House of Parliament la serviva, decise di darle le iniziali del magnifico palazzo in suo onore. Ecco dunque svelato il mistero delle due lettere e il perchè del palazzo del Big Bang riprodotto in azzurro e blu sul fondo dell'etichetta. In quanto a gusto, la trovo aspra e un po' mentolata. In realtà leggendo le istruzioni, ho visto che uno degli ingredienti principali è il tamarindo, che di suo talvolta rimane un po' stucchevole. Penso che il sapore così deciso e un po' ostico ben si addica ad alcuni stereotipi del comportamento inglese. Il colore scuro gli conferisce anche quel classico torpore che caratterizza la cucina britannica, non particolarmente famosa per bontà e non particolarmente chiassosa e confusa come quella americana, che di contro ha fornito la sua risposta alla salsa HP, inventandosi il ketchup. Da provare. Qualcosa di insolito per i nostri palati. Ottima sulla carne e anche su alcune verdure.

Il ristornate dell'amore ritrovato - Ito Ogawa


Ecco...me la immaginavo proprio come in questa fotografia la protagonista del libro in questione. Mi immaginavo Ringo, senza la sua voce, vestita nei tipici indumenti giapponesi, con le mani giunte sul suo cibo e un volto quasi angelico. 'Il ristornate dell'amore ritrovato' è la storia di una ragazza con la passione per la cucina, che un giorno perde la capacità di parlare per via di uno shock e decide di tornare al suo paese natìo per aprire un ristorante. Ma c'è molto altro. Innanzi tutto, questo romanzo arriva ad essere una sorta di piccolo compendio della cucina giapponese. Nomi, definizioni e prelibatezze di ogni tipo si avvicendano e si comprendono solo grazie al glossario delle ultime pagine, altrimenti assai complicati. Si potrebbero quasi seguire le istruzioni della narrazione e ne verrebbero fuori fior di ricette. Ma c'è dell'altro ancora. Ringo ha un rapporto conflittuale o quasi inesistente con sua madre, che si risolve solo in prossimità di un finale strappa lacrime. Infine c'è la 'sublime' presenza di Hermes, una tenera e pacifica scrofa, allevata e accudita come un comune animale domestico da Ringo nel cortile di fianco al 'Lumachino'. Chi ama le sottigliezze dell'animo giapponese e anche tutte le sfumature di una cucina così raffinata, non potrà non godere di questo libro. 
L'autrice, Ito Ogawa è molto famosa nel suo paese come scrittrice, ma anche come cuoca. Sul suo sito, solo in giapponese, ogni giorno propone al suo seguito di pubblico, originali e gustose ricette.

mercoledì 22 gennaio 2014

Questa notte mi ha aperto gli occhi - J. Coe

Ma cos'ha Jonathan Coe che non va? O, meglio, che cos'ha che va? Due domande apparentemente diverse, ma che in verità si completano. Quello che va è che scrive molto bene e che racconta storie contemporanee, riuscendo a farti sempre stare dalla parte del protagonista, sebbene questi a volte possa risultare anche il solito eroe perdente. Il mondo dei personaggi creati da Coe, infatti, è il mondo del loser. Dati i nostri tempi, fin qui, ci può stare tutto: l'antieroe, la società britannica calpestatrice e crudele, l'odio della vita metropolitana ecc. Ma talvolta mi chiedo dove vada Coe a pescare certe idee, in quale parte del suo cervello risieda la sua facoltà di creare fiction. Una finzione cioè, che a volte è troppo finta, come in questo libro. Ecco quello che non va.
Questo libro sembra un diario, perchè racconta una storia personale guardando a ritroso e lo fa in prima persona. Ma, già dalle prime pagine, accade qualcosa che sembra ricordare un thriller. Il personaggio principale assiste ad un omicidio e per il resto del tempo siamo sballottati tra continui flashback e paturnie esistenziali di un musicista, l'eroe, che non riesce a sfondare. Il tutto si risolve in un rocambolesco finale, che più che altro sembra la fantasia lisergica di un estimatore della musica prog degli anni 70. Si scopre, infatti che, l'assassino è...no ok, non lo dico. Ma il tutto somiglia davvero alla copertina di un disco dei Jethro Tull o simili. Insomma, di un'assurdità visionaria, che non mi porta nè verso il piacere del romanzo, nè verso la suspance del thriller. Non c'è introspezione psicologica e una buona fluidità temporale. Ma c'è una cosa Mr Coe, che mi piace davvero... Una cosa, o meglio, una città che si chiama Londra, che è il fulcro di tutto. E' lei, la musicista attraverso gli incipit delle canzoni degli Smiths citati ad ogni apertura di capitolo. E' lei, l'antagonista dell'eroe: fredda, sudicia, sciatta e indifferente. E' lei l'assassina dei sogni di ogni inglese, gallese o scozzese. E' una Londra con i denti aguzzi, ogni tanto compare e graffia, ogni tanto sbuca dal buio e uccide, quasi sempre rimane lì sullo sfondo, umida e semovente, come l'inquieto Tamigi e ruggisce, scolora, turbina intorno alla gente, la schiaccia come un tombino sull'asfalto e poi torna ad essere la splendente Londra. Quella che ti apre gli occhi una notte e ti fa capire chi devi diventare, se un avanzo della società o un musicista che ha recuperato il tempo perduto a fissare fuori dalla finestra, quando aveva 15 anni e che finalmente riuscirà a scrivere la sua canzone.

Splendore - M. Mazzantini

Quale modo migliore di cominciare un nuovo anno se non leggere un buon libro. La mia prima lettura e preferenza, per questi esordi del mese, vanno ad un libro scritto davvero splendidamente. Sì, perchè il vero splendore è la poesia, che si spoglia in prosa, per raccontare una storia triste e colma di dolore. Eppure il dolore ha un potere, perchè è un dolore che non si arrende, ma anzi si arricchisce grazie alla forza dell'immagine. Margaret Mazzantini è una scrittrice italiana, ma il suo modo di scrivere mi ricorda tutto meno che la piatta narrativa nazional popolare, che tanto disprezzo. Piuttosto, questo stile così prolisso, così meticoloso, così atrocemente vivo mi ricorda la poesia russa di Anna Achmatova intrisa di crudeltà. Quello spurgare vivifico di una ferita che si tenta di ripulire estirpandone la sofferenza. Infine è confortante ritrovare una tipica scrittura dalla sensibilità e dalla profondità puramente femminea. Sarebbe quasi impossibile dire che il detentore di questo talento così sublime, sia un uomo. Mi domando se anche la traduzione in altre lingue di questo libro, ne mantenga la stessa velata. ma anche roboante femminilità. 
Se 'Non ti muovere' era una lama infilata nel cuore, quello che si vive nelle pagine di 'Splendore' è il momento in cui si estrae la lama del coltello e il cuore prende a sanguinare. Avevo già apprezzato e lodato la cura, l'intensità, l'immensa costruzione scenica e immaginifica di quello che stava dietro all'intreccio di 'Venuto al mondo'. Qui, nonostante l'apparente ovvietà di una storia d'amore tra due uomini gay mai, davvero vissuta, la difficoltà era non rendere il racconto banale, non scolorirne il significato con lo stereotipo - seppur vero - dell'amara realtà. 
Ottimo libro per chi apprezza la lettura con l'anima, piuttosto che quella con gli occhi. L'unica autrice italiana degna del titolo di scrittrice.