MATRIOSKla

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mercoledì 30 gennaio 2013

New adventures in Hi-Fi - REM e l'oscurità

In questi giorni sto ascoltando i Rem. Di frequente ricompaiono nei miei ascolti. D'altronde sono stati una delle mie band preferite di sempre. Qualche giorno fa ho scorso lo scaffale dei miei dischi originali, ho contato ben 12 cd della band originaria dello stato di Georgia. Una band del sud degli Stati Uniti. Un sud particolare: polveroso, diretto, ma anche oscuro, visionario, obnubilato e distorto come le linee di un immaginario riflesso del deserto. Ho scelto di riascoltare 'New Adventures in Hi-Fi', perchè è uno dei dischi che nel tempo ho ascoltato meno, uno degli ascolti più difficili. Ma ogni volta che ascolto questo disco, trovo sempre lo stesso pregio. Non lo capisco mai fino in fondo, quasi non riesco ad ascoltarlo fino in fondo e tutto ciò che non capisco, mi attrae. La macchina è un buon posto dove ascoltarlo, perchè le distanze, il viaggio, le grosse cilindrate americane, la desolazione, i suoni del folk americano vengono tutti fuori e quale miglior posto che ascoltare tutto ciò guidando. Ho letto una bella recensione del disco su Rolling Stone e ho visto che la prima frase recitava 'il momento più scuro è quello subito prima dell'alba'. Bell'incipit per cominciare un disco che trovo a tratti straziante, prolisso, ma anche verboso, rivelatorio, interessante. Tra le tracce che preferisco ci sono 'How the west was won and where it got us', 'Wake up bomb', 'E-bow letter', 'New test leper' e 'Electrolite'.   
Quest'ultima, tra l'altro, parla di Los Angeles e di alcune strane immagini che quella città evoca. Trovo questo disco davvero presuntuoso a livello teorico. Stipe e company si sono potuti permettere un disco del genere solo perchè si chiamavano già REM e perchè avevano già sfornato due capolavori come 'Out of time' e 'Automatic for the people' e che il terzo sarebbe arrivato subito dopo con 'UP'. Se non avessero avuto un repertorio e un'ispirazione così duraturi, questo disco sarebbe stato un flop e invece in un contesto di imminente rinascita, quell'oscurità prima dell'alba ha avuto nel 1996, quando uscì quest'album, uno splendido senso. Da ascoltare e riascoltare, soprattutto per chi vuole conoscere il folk-pop.

martedì 29 gennaio 2013

Freeter come icona della contestazione

Ancora una volta, dal paese del Sol Levante, scopro che esiste una strana categoria del genere umano. Si chiama freeter. Innanzi tutto mi incuriosisce l'etimologia della parola. Essa dovrebbe essere l'unione della parola inglese 'free' (libero) e di quella tedesca 'arbeiter' (lavoratore). Si tratta di un neologismo coniato tra il 1987 e il 1988. Non so perchè, ma in qualche modo mi sono sempre sentita un freeter. Cioè, finiti gli studi, ad un'età di più o meno 24 o 25 anni, mi sono trovata chiusa in un ufficio. All'inizio pensavo che quello sarebbe stato il mio destino, simile a quello della grande maggioranza della gente adulta e lavoratrice. Ma col passare del tempo, ricordavo quei momenti in cui, seduta tra i banchi di scuola proprio non riuscivo a figurarmi e a immaginarmi seduta per sempre dietro la scrivania di un ufficio qualunque, di un'azienda qualunque. Già allora, mi sentivo una freeter? Cioè avrei preferito avere un lavoro di scarso spessore e responsabilità, piuttosto che perdere la mia libertà. Questo più o meno è lo stesso concetto che accomuna milioni di giovani studenti giapponesi, che si sono dati questo appellativo. 
Indagando ancora più a fondo si scopre che esistono addirittura precise categorie di freeter. Una è quella dei moratorium che spera di godersi quanto più a lungo possibile la vita e rimane disoccupata e a carico dei genitori fino a data da destinarsi. Poi si trova quella del 'dream pursuing', cioè gli idealisti che sognano cose incompatibili con la società giapponese e infine quella del 'no alternative', quella a cui appartengono coloro che non hanno trovato alternative di lavoro migliori e si sono adeguati ad avere lavori precari e sono spesso quelli che non hanno terminato gli studi. Io che pensavo di essere l'unica ad avere certe folli pretese e idee...

I terribili segreti di Maxwell Sim - Jonathan Coe

Per fortuna che ho letto questo bel romanzo di Jonathan Coe in inglese, così mi sono evitata il problema della  traduzione del titolo in italiano, decisamente fuorviante. Non sono segreti quelli che rendono Maxwell Sim, il protagonista, un tizio sfortunato, impacciato e davvero poco agile nei confronti della sua vita. Ho letto questo libro in vacanza e sono riuscita a godermi i continui capovolgimenti e contropiedi di cui la storia è piena. Forse Coe aveva scelto il finale a sorpresa e direi che c'è proprio riuscito. Ma in questo caso, più che una sorpresa,  il finale mi è sembrato un po' iperbolico, un po' forzato. Non starò qui a svelarlo, ma sono certa che una volta iniziato, il libro vi porterà a voler leggere fino in fondo dove possa davvero andare a finire la 'terribile privacy', come reciterebbe il titolo inglese originale, del signor Sim. Un libro divertente, ma che nasconde sordide afflizioni dell'uomo comune e che ci ricorda come Jonathan Coe sia sempre un grande maestro delle storie tormentate e tortuose. Ho letto cose più piacevoli di Coe, ma molte altre ancora me ne mancano. Dopo aver letto questo libro, tornata dalle vacanze, mi trovavo per caso alla libreria Feltrinelli di Milano. Sedevo al piano superiore e ad un certo momento ho sentito la voce dello speaker che annunciava che Jonathan Coe, lo scrittore in carne e ossa, sarebbe stato intervistato di lì a poco nella zona dedicata agli ospiti. E' stato un piccolo regalo vederlo lì e una piccola coincidenza incontrarlo proprio fresca di una sua lettura. Un'altra prova di quella mia teoria per cui penso che tutto sia estremamente collegato. 

lunedì 28 gennaio 2013

Izakaya e l'osteria giapponese

I giapponesi bevono e bevono parecchio. E' molto comune per i giapponesi lavorare fino a tardi e poi, di sera tardi, fermarsi con un collega o un amico a bere in una tipica osteria chiamata Izakaya. La particolarità di questo locale giapponese è che non è il cibo ad essere protagonista, bensì l'alcol. In special modo il sake, il whisky e la birra. Un'altra particolarità è che i clienti non devono consumare il loro drink in piedi, come in un comune bar, ma anzi sono invitati a sedersi comodamente su tavolini bassi alla giapponese, dopo essersi tolti le scarpe e averle deposte in apposite bustine e sistemate in un armadietto ben lontano dalla vista di tutti gli altri commensali. Di solito, in un Izakaya, si ordina del cibo per accompagnare le bevande, ognuno ordina qualcosa di diverso e lo condivide con gli altri non appena viene servito nei classici vassoietti. Di norma, si può ordinare da un menù sul quale si trovano le fotografie del cibo e si può usufruire della formula 'nomihodai', oppure 'tabehodai', cioè 'tutto ciò che puoi mangiare' o 'tutto ciò che puoi bere', secondo le quali i clienti possono bere e mangiare tutto quello che vogliono pagando una tariffa e un limite di tempo fissi. Ecco da chi arriva la formula 'All you can eat'! Di solito sono locali relativamente poco costosi e pare siano in aumento tra la popolazione giapponese, dato l'aumento di studenti e donne indipendenti che vivono da soli. Come costume, questi locali, abbinano il costume tradizionalista giapponese ad alcuni elementi della modernità circostante, come si può vedere anche dalla fotografia. Quello che mi attrae di questi locali è che quelli non appartenenti alle grosse catene, offrono ai cliente la possibilità di sedersi in stanze separate da altri in modo da creare un'atmosfera più intima. Infine, il cibo che si può trovare in questi locali è quello più semplice, dal sushi agli spaghetti di soba, oppure spiedini di pollo e tofu.

Genesis - We can't dance

Ci sono dei dischi che rimangono per sempre legati ad un momento della nostra vita. Di molti ho già scritto in questo blog. Dischi che hanno fatto non solo la storia della musica, ma anche la mia storia di adolescente. Ultimamente ho fatto caso al fatto che Phil Collins ha riempito pagine e pagine dei miei pensieri e dei miei ricordi. Però, non adoro soltanto il Phil Collins solista. Ci sono almeno due o tre album dei Genesis con Phil Collins come cantante, che stanno nel mio olimpo personale della musica mondiale. Il primo è certamente quell'ultimo capolavoro assoluto che fu 'We can't dance'. Si tratta dell'ultimo disco che ha visto i Genesis e Phil Collins insieme in studio, per creare in studio il quattordicesimo album della band, pubblicato nel 1991. Uscito a cinque anni dall'altro immenso capolavoro che fu 'Invisible Touch' del 1986. 'We can't dance' raggiunse il numero uno in classifica in Europa e quattro in America e fu un album che portò con sè un tour mondiale per tutto il 1992. Amo questo disco per motivi personali, ma penso che a livello oggettivo, la qualità delle canzoni sia dal punto di vista musicale, che di lyrics sia eccezionale. Non solo, quelle canzoni, oltre ad avere uno straordinario potere di orecchiabilità ed essere molto melodiche, non finiscono mai nell'essere pop. Anzi, la grandezza dei pezzi sta proprio nel fatto che ognuno di essi racconti una storia davvero significativa, porti un messaggio, abbia davvero qualcosa da dire. 
Per esempio 'No son of mine' è la storia di un ragazzino che racconta come sia stato costretto a subire suprusi e violenze da parte del padre, che non lo considera neppure suo figlio. 'Jesus he knows me', invece è una sorta di parodia del fenomeno di evangelizzazione che l'America subiva negli anni 80 e 90, da parte di predicatori da strapazzo costantemente in primo piano in televisione. 'Driving the last spike' invece ha una storia vera alle spalle. Racconta la storia delle centinaia di persone che hanno sacrificato la loro vita per costruire la ferrovia inglese. 'Dreaming while you sleep' è la storia di un uomo che non riesce a liberarsi del senso di colpa di aver investito una donna in un incidente stradale. Mentre forse pochi sanno che 'Since I lost you' sembra una canzone d'amore tristissima, ma in realtà è una canzone di cui nacque prima una stupenda musica e poi, quando Eric Clapton perse tragicamente il figlio in un ben noto evento, Phil decise di scrivere delle altrettanto stupende parole dedicandole alla terribile perdita del figlio dell'amico. Ma ci sono altri pezzi indimenticabili come 'Hold on my heart', 'Tell me why', 'Never a time' che sono davvero pura maestria e classici pezzi 'lunghi' e improvvisati tipici della classe dei Genesis, come 'Fading lights' e 'Way of the world'. Insomma, difficile rimanere indifferenti a questo disco, difficile trovarne uno simili ai nostri tempi. Sembrerò vecchia e petulante, ma aspetto da anni un album del genere. Sarà che di Phil Collins al mondo ne è esistito uno solo...

venerdì 25 gennaio 2013

L'orso azzurro - Lynn Schooler

Sono rimasta sorpresa quando ho iniziato a leggere questo libro, perchè metteva insieme almeno tre cose da cui mi ritrovo estremamente attratta: le balene, la fotografia e il Giappone. Nonostante non sia il capolavoro della letteratura americana moderna, Schooler ha il pregio di riuscire a descrivere in maniera accattivante scene nella natura dell'Alaska raccontate dal punto di vista di un uomo, che trasferitosi dal Texas, trova il suo posto ideale e diventa guida ed esperto delle terre estreme del nord. La storia suonerebbe un po' come il tentativo noioso e prolisso di descrivere un documentario naturalistico. Ma c'è di più: il legame tra Lynn, la guida e Michio, il fotografo diventa così dominante che ogni piccolo dettaglio relativo a pensieri, gesti, parole e tecniche fotografiche sono i principali punti di attrazione verso la storia. Non solo, la scomparsa di Kelly e l'oscuro passato di Lynn, il lieve barlume di tristezza che permea la vita di un fotografo professionista giapponese, mosso dalla snervante missione di trovare l'orso dei ghiacci o anche detto orso azzurro, aggiungono alla storia preziosi approfondimenti dell'essere umano di fronte alla forza di terre sconosciute. L'amicizia che lega Lynn e Michio è quasi inspiegabile. Piuttosto si tratta di una perfetta alchimia, di un rispetto reciproco, tutte doti che accomunano l'essere umano che ammette la propria indole indifesa nell'immensità della natura. Ovviamente, per quanto riguarda il mio gusto, io sono rimasta totalmente affascinata dalle dettagliate descrizioni delle specie di balene che i due principali personaggi incontrano sul loro cammino, dalla loro vita, abitudini e dal loro aspetto così minuziosamente illustrato da un esperto come Lynn Schooler. 

giovedì 24 gennaio 2013

Kalalau Valley e lo Shangri-la


Di nuovo le Hawaii...prima di scoprirle e visitarle non avrei mai detto che mi sarebbero piaciute e tanto meno mancate così nostalgicamente. Quando guardo fotografie come quella qui sopra, mi rendo sempre più conto che la stanchezza durante quel viaggio mi ha davvero impedito di ammirare tutto e soprattutto la vista su questa splendida valle di Kalalau, sull'isola di Kauai. Direi che più che altro, la mia, è stata una 'svista'...un po' troppo grossa e così imperdonabile, che potrei tornarci prima o poi, solo per fare una fotografia così.

Si dice che esista una sorta di paradiso terreno perduto e che sia da qualche parte in Tibet, o almeno così dice lo scrittore James Hilton nel suo 'Orizzonte perduto', e che questo sia lo Shangri-la...quell'ipotetico posto delle meraviglie che l'essere umano agogna; un mistico passaggio verso una segreta valle dove bellezza e pace regnano sovrane.
Eccolo....




Tokyo Magnitude 8.0

In un momento non meglio precisato della storia del Giappone contemporaneo un devastante terremoto rade al suolo gran parte della città di Tokyo e le immediate vicinanze, costringendo la popolazione ad una fuga in massa verso qualsiasi possibile riparo. Quando tutto ciò accade, Mirai e Yuki - rispettivamente sorella e fratellino minore - si ritrovano soli e lontani da casa, completamente in balia della catastrofe. 
L'unica salvezza che trovano è l'aiuto di Mari, una donna che tenta allo stesso modo di ritrovare la via di casa dopo il sisma. Mirai è la tipica ragazzina in fase pre adolescenziale che spesso trova il fratellino irritante e infantile, ma questa commovente e probante esperienza verso la salvezza riuscirà ad avvicinare i due fratelli in una maniera impensata da parte di Mirai. Nonostante il lieto fine sia quasi scontato, la particolarità del film è il colpo di coda che la storia presenta proprio verso la fine. Mirai dovrà affrontare la sua prima grande e dolorosa prova di piccola donna. 
 Secondo quanto annunciano le informazioni relative all'anime, esso è stato disegnato e ricostruito in base ad approfondite analisi e indagini svolte durante gli studi dell'ipotetico terremoto che un giorno si abbatterà sulla metropoli di Tokyo. E' impressionante la scena del crollo della torre di Tokyo, punto di riferimento culturale e quasi simbolo di identità per gli abitanti e la città stessa. Una bella storia di animazione, toccante e straordinariamente prodotta. L'anime risale al 2009, vincitore dell'Excellence Prize  nella categoria Animation al Japan's Media Art Festival ed è diretto da Masaki Tachibana e Natsuko Takahashi. 

domenica 20 gennaio 2013

Big Miracle - Qualcosa di straordinario

Sono finalmente riuscita a vedere questo film uscito nel 2012 diretto da Ken Kwapis e interpretato, tra gli altri, da una ispirata Drew Barrymore. Per chi ama le balene come me, è un sollievo sapere che questa storia sia ispirata ad un fatto realmente accadauto e che effettivamente non solo gli attivisti di Greenpeace, ma anche la gente comune provi simpatia nei confronti di questo enorme e pacifico animale marino. La storia di Fred, Wilma e Bam Bam, secondo quello che ci mostra il film, sollevò l'interesse dell'opinione pubblica, da quella dei bambini, a quella politica, fino a quella delle allora due 'super potenze' che erano Usa e Urss.  
La vicenda si svolge nel 1988, quando Reagan e Gorbaciov erano i principali protagonisti del disgelo politico  tra i due paesi dopo anni di Guerra Fredda. Proprio grazie alla politica di riavvicinamento e alla cosiddetta 'glasnost', il salvataggio di tre balene imprigionate tra i ghiacci dell'Alaska nel Mare di Beaufort, costituisce un'opportunità per i due governi per collaborare ad un nobile scopo comune. Un film commovente e nostalgico, semplice e rassicurante come sembravano essere gli anni 80, che questo film rievoca così bene. Nonostante il finale sia dolce-amaro, rimane un film da lieto fine e molto godibile.

sabato 12 gennaio 2013

Il compleanno di Murakami e il potere dei nomi

Ricordandomi che oggi è il compleanno di Haruki Murakami, sono andata a spulciare ciò che si dice di lui in rete e ho trovato un breve estratto riguardo alla genesi definitiva del suo ultimo capolavoro 1Q84. Mi sono rallegrata ancora una volta della mia personale convinzione, che tutto ciò che ci attira e ci appassiona nella vita, sia davvero estremamente collegato. Il passaggio di Murakami si sofferma sulla scelta di scrivere il romanzo alternando le storie dei due personaggi principali, allo stesso modo in cui  le chiavi di maggiore e minore si alternano nell'opera di Bach 'Clavicembalo ben temperato'. Si sa quanto sia appassionato di musica questo autore, possessore di decine di migliaia di dischi di ogni genere. E' sorprendente e interessante pensare che qualcosa che ci appassiona possa essere d'ispirazione per un'altra e che le due cose vivano nella mente del creatore di un'opera d'arte, come in una sorta di simbiosi. Ma non è tutto. Murakami svela come, un'altra delle sue passioni, cioè la cucina giapponese di cui sempre si trovano riferimenti nei suoi romanzi, abbia addirittura ispirato i nomi dei due protagonisti. Trovandosi in un ristorante izakaya, il nome di un piatto 'tofu con aomame' scorto dal menù, aveva dato vita al nome del personaggio femminile Aomame, appunto. Da lì, pare che il nome del personaggio maschile Tengo sia arrivato come uno spontaneo accompagnamento. Ma la cosa ancora più bizzarra che rivela l'autore, sarebbe il fatto per cui, da quel momento in avanti, avendo trovato i nomi dei protagonisti Murakami ebbe la certezza che il suo romanzo 1Q84 avrebbe trovato il suo definitivo compimento. Egli stesso aggiunge che, prima di quella rivelazione dell'identità dei protagonisti avvenuta attraverso la decisione del nome, quella certezza non si era ancora materializzata. Dalla musica, al cibo, dall'inconscio alla scrittura, da qualunque parte si voglia entrare nella creatività di Murakami se ne esce comunque dopo aver attraversato altri innumerevoli e piacevoli mondi. 

venerdì 11 gennaio 2013

Il buio oltre la siepe - Harper Lee

Avevo 15 anni quando lessi questo libro e ancora mi emoziona il ricordo di quell'estate. Era il 1991. La professoressa di letteratura italiana ci diede la solita lista di libri da leggere come compito delle vacanze estive. Dunque sarà stato per quello o perchè la storia si svolge nel sud degli Stati Uniti e precisamente nello stato dell'Alabama che associo questo libro al caldo, alla polvere che quello sparo esploso dal fucile di Atticus Finch solleva dalla strada non asfaltata della sua casa, dalla quale Scout osserva il coraggio e la bravura di suo padre mentre uccide un cane randagio. 

Per il resto, forse a tutti è nota questa storia, di recente riportata all'attenzione da Barack Obama, che ha definito questo romanzo come uno dei più importanti capolavori della letteratura americana che abbia contribuito a dar voce all'anti razzismo.
Atticus Finch è un avvocato incaricato di difendere un uomo di colore accusato di violenza carnale. Egli riuscirà a dimostrarne l'innocenza, ma l'uomo sarà comunque condannato. Le scene del processo sono state poi immortalate per sempre anche dallo splendido film del 1962, ancora in bianco e nero, interpretato da un algido e adamantino Gregory Peck. Ma il libro trova il suo punto di forza nella narrazione dei fatti da parte di Scout, una sorta di Huckleberry in gonnella, che si comporta come un maschiaccio e scandalizza i suoi vicini ben pensanti. Una narrazione a metà tra la purezza dell'infanzia e lo stupore dell'occhio ancora bambino che testimoniano fatti di atrocità e violenza senza esserne mai sopraffatti. Un libro immortale. Un pezzo della storia del mondo e anche della mia. 

giovedì 10 gennaio 2013

Laurel Canyon

Una città senza cuore, sempre la stessa: Los Angeles. Una manciata di personaggi stralunati che sembrano appena usciti da un romanzo  alla Bret Easton Ellis, una storia che ha un inizio, ma non una fine e procede in circolo. Vizi, stravizi, trasgressione e infine una lotta senza posa contro i demoni della tentazione. Su tutto questo, come tocco finale, una grandiosa colonna sonora dove 'In a funny way' dei Mercury Rev, si giustappone al clima del film vaporoso ed evanescente, grazie alle atmosfere della loro musica dream pop. Un film altamente sconsigliato a tutti quelli che non amano il genere, cioè sostanzialmente, quei film che non hanno una vera storia, un'azione, un compimento, ma che si concentrano sulle emozioni interiori dei personaggi, sulle loro espressioni e su quello che non riescono ad esprimere, ma soltanto a sentire. Un film che parla di passioni e di fantasie proibite, dove l'unica pecca, forse,  è soltanto la scialba - volutamente o meno - interpretazione degli attori. Tra tutti spicca un Christian Bale , nel personaggio di Sam, sballottato qui e là nella storia, ma senza granchè da dirne a proposito. Nonostante il film mi sia piaciuto perchè mi ha ricordato le atmosfere di 'Less than zero' del maestro Ellis, purtroppo nulla del personaggio di Sam lascia trasparire il fascino della mente di Clay.

mercoledì 9 gennaio 2013

Nelle terre estreme - J. Krakauer

'Into the wild'...Il film mi aveva davvero appassionato e quindi, nonostante conoscessi già molto della vita e della storia di Chris McCandless, alias Alex Supertramp, non ho potuto resistere al libro. John Krakauer, il giornalista che aveva ricevuto l'incarico di dare alle cronache la notizia del ritrovamento di un giovane ragazzo trovato morto di fame in Alaska, si ritrova più tardi, ad indagare sempre più a fondo sulla vita di McCandless. Ne diventa quasi ossessionato e in lui trova delle somiglianze con se stesso. Krakauer, come McCandless, aveva sempre avuto un rapporto difficile con suo padre e ereditata da quest'ultimo la passione per l'alpinismo, in giovane età si ritrova a compiere un'impresa tanto difficile, quanto estrema come la scalata del Devils Thumb. Incuriosito e attratto da cosa avesse spinto McCandless ad un'avventura che lo aveva portato ad una drammatica e non voluta morte, il libro ripercorre e tenta di interpretare le gesta, il tragitto, gli intenti e i pensieri attraverso le poche informazioni disseminate lungo il cammino che portano Alex Supertramp dal Maryland all'Alaska, nel suo viaggio durato due anni. Criptici pensieri, passaggi di grandi romanzi sottolineati, tra cui i capolavori di Jack London, Boris Pasternak, Henry David Tureau e Lev Tolstoj, laconiche annotazioni su stati d'animo e situazioni ambientali, sono le poche coordinate che ricostruiscono quella che fu la strana, pericolosa, spericolata e tragica storia di un ragazzo che cercava la sua identità e la libertà estrema e incontrò, tuttavia, il peggior demone della sua breve e ingenua vita. 

lunedì 7 gennaio 2013

Praga fotogenica


Come da programmi, ho accolto l'arrivo del nuovo anno in una città già a me piuttosto nota e amata. Praga. Praga affollata, superba e fiera della sua ricchezza. Praga dalle mille dinastie, dai mille volti e bandiere. Praga romana, imperiale, anti-semita, comunista, anti-sovietica e ora capitalista, viziosa, spregiudicata, sfacciata, qualunquista, ma sempre bella. Sfavillano le chiese e le guglie delle cattedrali, si adombrano le viuzze strette e ancora austro-ungariche, si sveglia di notte - come sappiamo - il Signor Franz Kafka e se ne va in giro per via Celetna a due passi dalla città vecchia, solo come non mai, insonne, tormentato dalle sue manie di persecuzioni, irrequieto. I palazzi a parallelepipedo, le finestre tutte uguali, i colori deprimenti, alcune Trabant abbandonate o forse giustapposte davanti a negozi che odorano di est con le vetrine basse e i tre scalini in discesa ancora ricordano lo stile monumentale dell'era dei soviet. Mi aspettavo una Praga opulenta e faziosa, adorante delle manie occidentali, ma a parte la venerazione per il dio soldo incarnato da orde disordinate di turisti, tutto il resto, quel resto così ancora da Europa orientale e da cortina di ferro, sbatte contro i furiosi ingranaggi della società del libero mercato. Praga di merletti che riluce nella notte, ma in realtà è buia, oscura,  paurosa. Lampioni fiochi illuminano le vie, ricordano la segretezza del regime comunista, quando la luce non era contemplata, si viveva nel coprifuoco notturno e nelle ombre vestite di uniformi militari. Praga magica, alchimista e alcolemica. Praga fotogenica nonostante la folla. Praga da vedere e rivedere, ma soprattutto da ammirare. La mia taskà è tornata tuonante e per un attimo ho rivisto il muro...