MATRIOSKla

MATRIOSKla

venerdì 11 novembre 2011

Sergej Esenin - il poeta disilluso

Del grande, boicottato, distrutto poeta Sergej Esenin mi ha sempre affascinato il modo in cui morì.
Si dice di lui che si impiccò nella stanza dell'hotel Angleterre di Pietroburgo nel dicembre del 1927, dopo aver scritto una poesia di commiato con il proprio sangue, poichè mancava inchiostro in albergo, intitolata 'Arrivederci, amico, arrivederci'.
Ovviamente questo l'ho creduto quando, a 16 anni, rimanevo affascinata dal tragico destino che accomunava molti straordinari poeti russi. 

Poi ricordo come la mia prima insegnante madrelingua di russo del liceo, avesse beffardamente alluso ad un complotto escogitato dalla polizia politica contro Esenin; il poeta contadino, che diede origine alla corrente imaginista,  che aveva lasciato la campagna per la città e della quale era rimasto amaramente scottato. L'alcool e le donne, una su tutte la ballerina Isadora Duncan, logorarono il poeta 'teppista' - in russo chuligan - che in un ultimo grido di dolore scrive:

                                 Arrivederci, amico, arrivederci
                                 O vecchio mio, tu mi sei nel cuore.
                                 Questa separazione destinata
                                 Un incontro promette in futuro.

                                 Arrivederci amico, senza parole e gesti,
                                 Nè tristezza e aggrottar di sopracciglia.
                                 Non è nuovo morire, in questa vita,
                                 Mi più nuovo non è di certo vivere.

Mi sono arrovellata le meningi per tanto tempo su quest'ultimo verso. Per anni mi è sembrato uno scioglilingua, un indovinello, un ultimo messaggio in codice del poeta che cercava un suo posto nella nuova società sovietica, una società che a quel tempo vedeva 'i treni di ferro sorpassare le oche nelle campagne' - tanto per parafrasare uno dei pensieri dell'autore stesso - e che ha tirato il collo a un'intera generazione di illusi, disilludendoli.
Impossibile rimanere intoccati dalla figura stravagante e lacerata di questo poeta nato il 4 ottobre del 1895 a Kostantinovo, a pochi chilometri da Kazan'. Lo stesso Majakovskij, colpito dalla sorte così folgorante di Esenin parafrasò quell'ultimo verso in una sua poesia postuma alla morte del poeta.

giovedì 10 novembre 2011

Borsch, una ricetta russo-ucraina

In un paese dove i frutti della terra sopravvivono a condizioni climatiche impervie per gran parte dell'anno, il popolo russo si è nutrito per secoli di verdure e ortaggi che all'occhio di un abitante del bacino del mediterraneo sembrano quantomai bizzarri. Mi capita di rado di trovare qualcuno che sia particolarmente appassionato di barbabietole e cavoli. Forse perchè siamo abituati a vederli nelle loro forme più anonime; solitamente interi, oppure imprigionati dalla plastica. La barbabietola poi, in alcuni, provoca addirittura ribrezzo, forse perchè rassomiglia ad un organo umano non meglio identificato e perde quel suo liquido violaceo, quasi simile al colore del sangue.
Eppure pensate che la Russia e l'Ucraina si contendono da sempre il primato per l'originalità di una ricetta per una zuppa chiamata borsch, proprio a base di barbabietole e cavoli. Durante la mia lunga frequentazione della cultura russa, ne ho viste di ogni genere, ho assaggiato mille varianti e se l'una si vantava di essere la pura zuppa di borsch, quella successiva si fregiava del titolo di zuppa originale rispetto all'altra. Bisogna dare atto all'Ucraina per aver esportato questo piatto. Com'è noto gli ucraini sono famosi per essere dei bravi cuochi e di avere una particolare predisposizione per l'arte culinaria.
Il primo borsch che ho visto nella mia vita è stato su una fotografia di un libro di cucina, che ho vinto ad una gara organizzata dalla mia prima prof di russo del liceo.
Poi ho cominciato ad assaggiarlo nelle case dei russi. Ne ho viste di tutti i 'colori', anche se quello principale rimane il rosso. Ho mangiato quelli a base solo di vegetali, poi ho scoperto che c'era chi aggiungeva della carne. C'è chi aggiunge quella di maiale e chi quella di pollo. C'è chi la rende più liquida e chi più sostanziosa. Essendo un piatto tipicamente invernale, è molto ricco di minerali e ha un vero e proprio potere di riempire, concentrando quanto più possibile in un'unica portata.
C'è chi aggiunge pezzi d'aglio e chi invece usa solo la cipolla, c'è chi usa entrambe le cose e tutti hanno in comune le barbabietole, le foglie di alloro e soprattutto la cosiddetta smetana o panna acida, da aggiungere alla fine, come una sorta di nostro parmigiano.
Oltre che nelle case dei russi che ho frequentato nella mia prima giovinezza, ho trovato il borsch in decine di libri di letteratura russa. Mi è sempre piaciuto assaporare quel gusto un po' acidulo delle barbabietole e dei cavoli bolliti, pensare che, in tempi duri, questo sia stato il piatto simbolo del popolo sovietico e che grazie a questa zuppa bollente, i russi si siano scaldati sorbendo questo povero, ma 'ricchissimo' piatto e che migliaia di donne russe sia siano sbizzarrite a crearne le varianti più fantasiose.
Ho ritrovato ogni volta un po' dell'animo russo in questo piatto. Così bizzarro, così stucchevole, per niente 'sobrio' e incurante dell'eleganza, eppure così vivace, così profondo, così corposo, così vitale, così malinconico, così contrastato...

Per chi sia interessato a provare a cucinarlo, ho scelto una delle ricette che mi è parsa più facile e che anch'io ho provato a fare:

Ukrainskij Borsch (zuppa di barbabietole e cavolo all'Ucraina)
- per 6/7 persone

- 500g Barbabietole crude sbucciate e grattuggiate
- 3 omodori senza pelle e semi
- 1 cipolla bianca tritata
- 2 spicchi d'aglio tritati
- 1 cuore di sedano tritato
- 1 carota piccola tritata
- zucchero
- 1/4 aceto di vino rosso
- 2 cucchiaini di sale
- 1 litro e mezzo di brodo di carne
- 400g di patate sbucciate e tagliate a pezzi
- 400g di cavolo tagliato a fette
- 500g di manzo bollito tagliato a pezzi
- 2 cucchiai di prezzemolo tritato
- 1/4 di litro di panna acida

In una pentola fare sciogliere il burro, aggiungere la cipolla tritata finemente e l'aglio. Fare imbiondire a fuoco lento, poi aggiungere le barbabietole grattuggiate, il cuore di sedano, metà dei pomodori, una presa di zucchero, l'aceto, il sale e un bicchiere e mezzo di brodo. Fate cuocere a fuoco moderato per 30 minuti circa. Nel frattempo fare bollire il rimanente brodo con le patate ed il cavolo per una ventina di minuti. Le patate devono essere cotte, ma non sfatte. A questo punto aggiungere la carne a pezzi, il resto dei pomodori e le verdure (cavolo). Lasciare sobbollire per 10 minuti. Assaggiare per controllare se è sufficientemente salato, travasare in una zuppiera riscaldata e servire con la panna acida a parte.

Prijatnogo appetita!!!

Evanescence - il nuovo disco degli Evanescence

In questo periodo dell'anno, buio e misterioso, mentre i cieli di novembre si fanno sempre più nebbiosi, le zucche e i gatti i neri hanno circolato parecchio, si fanno avanti alla radio, dopo 5 anni di assenza, gli Evanescence con un nuovo disco omonimo annunciato fin da giugno di quest'anno. E' un disco omonimo, che ripropone le tipiche sonorità di questa band new-gothic dell'Arkansas.
Il primo singolo è 'What you want', che personalmente trovo piuttosto debole rispetto alle grandi prime hit del passato come 'Bring me to life' e 'Going under'. Ovviamente non intendo debole da un punto di vista sonoro, la carica e la potenza che esprimono le canzoni degli Evanescence sono sempre massime, ma trovo che la canzone in sè sia meno cantabile e 'ricordabile' delle precedenti citate.
Un disco estremamente energetico, dove si alternano momenti puramente 'evanescenti' come 'My heart is broken', 'Made of stone' e 'Oceans' a tipiche ballate come 'Lost in paradise', dove la voce di Amy Lee sovrasta il solito clamore della musica supersonica della band.
Se penso all'effetto bomba che questa band aveva suscitato con il primo album, mi sento leggermente all'asciutto di sorprese, tuttavia, probabilmente il marchio di fabbrica di questa band ha nella potenza vocale di Amy e nei power chords delle chitarre la sua piena realizzazione. Un disco che, come una squadra vincente, non ha voluto cambiare i propri addendi e che, per questo, rischia di diventare un po' autoreferenziale. Ma di certo i fans più accaniti si trovano perfettamente soddisfatti dal risultato di 5 anni di fatiche.
Intanto nelle serate di questo pieno novembre, lascio suonare questo disco nella mia macchina e immagino le distese dell'Arkansas squarciate dalle corde vocali tiratissime di Amy Lee e mi figuro gotiche immagini di loschi individui, castelli dalle porte cigolanti abbarbicati su colline in lontananza, mentre imperversa un pittoresco temporale di fulmini e saette.

martedì 1 novembre 2011

Halloween day

Voglio svelare una mia debolezza: adoro la notte di Halloween e questa festa.
Lo so, è una festa commerciale, importata dagli Stati Uniti come molte altre cose effimere e non appartiene nemmeno alla nostra cultura da un punto di vista religioso.
A quanto dicono alcune fonti, questa festa trae le proprie origini dal 1600, in piena era di Riforma Protestante nell'allora territorio britannico e si hanno tracce di celebrazioni di questa festa, fin dal Medio Evo, in altri paesi come la Scozia e l'Irlanda. Dunque, additiamo sempre gli Stati Uniti come colpevoli di averci contagiato con questa festa, ma in realtà la colpa è da distribuire tra vari iniziatori.
Comunque, lasciatemi dire che la mia attrazione per questa notte delle streghe ha una semplice ragione estetica.
Innanzi tutto i colori, mi piacciono i colori di Halloween che si abbinano con le sfumature dell'autunno. Il richiamo alle foglie aranciate, il contrasto con il cielo ormai già scuro, che si fa sempre più novembrino e la gialla luna che pasce nel cielo, come l'occhio beffardamente inquietante di una zucca scolpita.
Di solito compro le zucche dalle forme più strane, mi piace ammirarle appollaiate nel mio cesto di vimini scuro in cucina. Tiro fuori anche quelle di stoffa, che l'anno precedente erano piene di dolcetti, sorrido davanti al mio cappello da fantasmino e spero che salti fuori qualcosa di interessante da fare.
Quest'anno, ho ascoltato, come da tradizione, la prima traccia del disco degli Helloween (con la 'e') 'Beyond the portal' a tutto volume, ho guardato un film horror. Ieri è stata la volta di 'Halloween 4. Il ritorno di Michael  Meyer'. Verso sera ho preparato il mio costumino fatto in casa, per andare ad una piccola festa organizzata da un amico che suonava con il suo gruppo in un locale.
A proposito di questo, vi segnalo il link al sito di questo gruppo che ormai seguo abbastanza regolarmente da quando hanno cominciato a esibirsi in pubblico. Si chiamano RPM e sono rock!

domenica 30 ottobre 2011

Terranova - Close the door

Si tratta di una band tedesca che ho avuto modo di scoprire qualche anno fa leggendo una recensione sulla rivista, che per molto tempo è stata per me una bibbia musicale alternativa, cioè il Mucchio.
Nel mio periodo di scoperta di musica elettronica alternativa ho iniziato ad ascoltare 'Close the door' del 1999.
Considerando il titolo della prima traccia in apertura di disco che si chiama 'X-files', forse non avrei dovuto stupirmi del genere di atmosfera che si respira per il proseguo del disco.
Sonorità soffuse e spesso inquietanti almeno per una buona metà dell'album, di certo fino all'apice più cattivo di 'Bombing Bastards' e alle due tracce successive di 'Never' e 'Midnight Melodic', che fanno precipitare in un'ambientazione quasi fantascientifica. Queste ultime potrebbero essere la colonna sonora di una puntata di x-files appunto., mancano solo le navicelle spaziali e i raggi intergalattici.
Intendiamoci, una musica elettronica di qualità, che guida e conduce ad un ascolto piuttosto sofferto e carnale e che nello stesso tempo trasporta in uno stato più laconico e ipnotico attraverso le voci femmininili e pacate di 'Close the door', 'Sugarhill' e 'sweet bitter love'.
Un disco difficile da abbinare ad una sola situazione, piuttosto eclettico e con una punta di misteriosità ammaliante, a mio personale giudizio nelle tracce più paurose e stranianti, che non in quelle trance-pop.
Un genere  elettronico da viaggio spaziale.

giovedì 27 ottobre 2011

Gorkij Park - film

La penna di Martin Cruz Smith ha dato spesso vita a storie e romanzi memorabili. Solo per citarne uno 'Il nostro uomo a l'Havana' e ovviamente il cult Gorkij Park.
Ma in questa sede vorrei ricordare il film di Michael Apted, che negli anni 80 - la sua uscita esatta è del 1983 - fu un thriller piuttosto riuscito. 
Ricordo di aver visto questo film per la prima volta alla tv pubblica e successivamente su uno dei due canali a pagamento di telepiù in un grigio sabato pomeriggio del 1993. In quest'ultima occasione, l'annunciatrice del film dava alcune brevi notizie relative al film e ricordo che mi colpì apprendere che le scene in esterno erano state girate in Finlandia e Svezia, perchè a quei tempi l?unione Sovietica non permetteva riprese del proprio paese da parte di produzioni occidentali, a causa della guerra fredda.
Dunque nonostante questi impedimenti non trascurabili, non essendo stata, a quei tempi, ancora in Russia, identificai alcuni posti del film con la vera Russia che, nel lontano 1993, soltanto sognavo.
Prendiamo il parco della 'cultura e del riposo', Gorkij appunto, come lo chiamano i russi. Nel film esso è teatro del macabro ritrovamento di tre cadaveri sfigurati nel cuore di Mosca. Viene rappresentato come una desolata distesa di ghiaccio, adornata da una scarsa illuminazione notturna e da una casetta dotata di altoparlanti dai quali si propaga 'Il lago dei cigni', azionati dalla tipica babushka - anche se sarebbe meglio chiamarla dzhurnaja - durante il giorno. Quando poi, a distanza di molti anni vidi con i miei occhi il vero Gorkij Park rimasi delusa, anche se dovrei dire ammirata, dal senso di giovialità che il parco trasmette sia d'estate che d'inverno. Certo, erano passati quasi vent'anni dal tempo in cui gran parte del mondo occidentale, il vero Gorkij Park si poteva solo ipotizzarlo mentalmente. ed erano passati almeno 3 governi dalla caduta del comunismo.
Anche l'investigatore capo Arkadij Renko era un frutto perfetto della fantasia e dell'immaginario collettivo; non solo di M.C. Smith, ma anche di tutti noi spettatori.
Renko, protagonista del film, interpretato da un magnifico e statuario William Hurt ha il volto emaciato, il colbacco con la stella rossa appuntata in fronte e nonostante la sua alta carica, vive dimessamente in uno squallido appartamento moscovita e si muove per la città con una sgangherata auto di servizio della polizia: uno dei modelli Lada.
Avvezzo all'alcol e alla provocazione agisce con pochi amici al fianco, all'oscuro di una macabra macchinazione inscenata per nascondere un traffico illecito di pellicce di zibellino, orchestrata dal corrotto capo della polizia sovietica Pribluda, il KGB e il commerciante americano Jack Osbourne.
La placida stuzia di Renko intuisce in quest'ultimo il possibile assassino, il quale, forte dell'appoggio dei suoi complici corrotti, tratta Renko con sufficienza e intravede in lui la tipica e sonnolenta indolenza sovietica.
Ma è proprio a questo punto che si svolge una delle mie scene preferite. Arkadij Renko incontra per la prima volta in una piscina pubblica Jack Osbourne ed è raggiante come un bambino di fronte al vasetto di marmellata. Per la prima volta nella sua vita, infatti, Renko vede un americano in carne e ossa. E' quasi assurdo pensare oggi che  così come per noi occidentali era molto raro molto raro a quei tempi conoscere un sovietico, la stessa cosa valeva per loro nei nostri confronti.
L'ingenua arrendevolezza che arriva agli occhi di Osbourne, che vede Renko fingere di brancolare nel buio, fa dire a quest'ultimo una frase che per molto tempo ho fatto mia: 'la pazienza offre grandi doni ai suoi adepti'. Questa frase corona magnificamente questa intima scena, che vuole mimare l'abitudine dei sovietici a trascorrere i loro momenti di riposo nelle calde piscine pubbliche. Non a caso a Mosca, ai tempi dell'Urss, sorgeva una piscina all'aperto, riscaldata d'inverno, che adesso è stata completamente smantellata e al suo posto si erge la magnifica basilica del Cristo Salvatore.
Infine, la figura di Irina, ingenua ragazza nata in Siberia, caduta nella rete di Osbourne e combattuta tra l'amore appassionato di Renko e i soldi dell'americano, è la chiave di tutto fino a quando, come da soliti stereotipi, scapperà dal suo paese per fuggire all'estero e tradire la sua patria.
Un bel thriller da gustare e osservare, per scorgere tra gli sforzi immaginifici del regista tutti gli accenni ad un mondo misterioso ormai scomparso.

mercoledì 5 ottobre 2011

Tracy Chapman - New Beginning

Su youtube ho trovato un'intervista di Tracy Chapman, di qualche anno fa, relativa a un album che comprai, appena uscito, nel 1995. Si tratta di 'New Beginning', che in questi mesi sto riascoltando o forse, dovrei dire, che sto davvero capendo nonostante siano passati 16 anni da quando lo acquistai.
Nell'intervista Tracy sottolinea il fatto che, il titolo di quest'album doveva ricordare come sia possibile per tutti avere una possibilità di ricominciare un capitolo della propria vita, in qualsiasi momento sia necessario. 'Il nuovo inizio' per Tracy coincide con un disco molto più maturo, elaborato, lungo e pieno di successi creati con un nuovo spirito e uno stile molto più lungimirante.
Ricordo che la prima canzone che mi colpì fu 'Smoke and Ashes'. Mi piaceva il sound arioso, così raffinato e fluttuante, il suo cambio di tempo verso la fine del brano. Ancora oggi mi piace per lo stesso motivo, dunque una canzone che regge molto bene il tempo. Forse quando avevo 19 anni e ascoltavo la title track non mi piaceva molto il ritmo reggae, così monotono e ripetitivo, ma oggi capisco il richiamo dei suoni giamaicani e africani che sicuramente interessavano questa artista afro-americana.
Ma il vero successo di questo disco, che ancora viene citato come uno dei principali successi della carriera di Tracy fu 'Give me one reason', un brano blues meraviglioso, di cui solo oggi apprezzo a pieno la maestria, il ritmo, l'energia. Ai tempi non capivo il fascino della musica blues, preferivo di gran lunga perdermi nei brani più malinconici, leggere i lunghi testi di 'Remember the tinman', che è una delle canzoni più ferocemente tristi della storia; ma di una tristezza non banale, non data in precedenza, una poesia da inserire nelle antologie della letteratura.
'The Promise' è altrettanto struggente, ma di uno struggimento dolcissimo, quasi rassomigliante ad una ninna nanna. 'At this point in my life' mi porta dritta al cuore di questa voce meravigliosa e, come 'Cold feet', mi trascina in una dimensione quasi extra corporea: io non sono quasi più io, ma sono un cielo immenso, sopra una immensa distesa di un qualche pianeta in fiore. Ecco, perdonatemi il momento lirico, ma la Chapman mi fa quest'effetto con la sua musica e la sua voce soul.
Uno dei migliori dischi che nella mia incosciente adolescenza ho acquistato e che nella mia età matura sto continuando ad amare, sto scoprendo, come se quel disco lo avessi comprato oggi.