MATRIOSKla

MATRIOSKla

martedì 22 novembre 2011

Franz Kafka e il mio processo

Vorrei dedicare il mio centesimo post ad una parte importante della mia formazione culturale.
Essa ha un nome e un cognome. Franz Kafka. Scrittore ceco di lingua tedesca e di etnia ebraica, nato a Praga il 3 luglio del 1883 e morto a Kierling il 3 giugno del 1924. Egli è ancora oggi uno dei miei idoli letterari.

'Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., poichè un mattino, senza che avesse fatto nulla di male, egli fu arrestato.'
Si può resistere ad un incipit di questo genere? Io non ho potuto. Nè la prima volta che lo lessi e allo stesso modo, nemmeno tutte le successive. La mano di Kafka, come l'artiglio di quella cornacchia, che il suo nome nella lingua ceca significa, ebbe una presa talmente forte che mi arrivò fin nel cervello.

Si trattava dell'incipit de 'Il Processo'.
Che cosa aveva fatto quel certo signor Josef K.? E perchè poi nascondere il cognome dietro quella K.? Perchè nessuno accorse mai in aiuto di questo inetto, sparuto, passivo impiegato di banca? E perchè quel tribunale non dichiarò mai quale fosse la sua colpa?
A 18 anni tutte queste domande mi tormentavano come un malanno. Come dice Primo Levi, per lui completare la traduzione di questo romanzo fu come uscire da una malattia. Anch'io mentre leggevo, ogni volta, in ogni momento dell'anno sentivo la ricaduta in quello stato d'animo simile ad un'influenza. 
Forse era la famosa 'dasein schuld' (la colpa dell'essere), quello stato in cui l'angosciato Franz Kafka visse tutta la sua vita, sentendosi inadatto. 
Ora quelle stesse domande si sono chiarite nella mia mente e le risposte hanno assunto una portata dirompente. Aver trovato il senso di un libro come 'Il Processo', aveva aperto una strada abissale davanti a me e aveva automaticamente chiuso tutte le altre. Non c'è via di scampo alle parole di Kafka, una volta che ti trafiggono, te le porti appresso come cicatrici invisibili sul corpo, nell'animo, nella coscienza. Si insinuano laddove vorresti trovare un po' di pace e invece Kafka vi ha riposto tutta la sua inadeguatezza, che è diventata la tua.
Dunque, quando sei nei trentanni inoltrati, che poi è l'età in cui Kafka stesso iniziò a scrivere il suo più conosciuto romanzo, non hai più bisogno di chiederti il perchè, poichè temi già di sapere perchè un tribunale dovrebbe condannare qualcuno, senza dichiararne il motivo. Vigliaccamente allontani le risposte. Ne temi le conseguenze.
Il processo mi attanaglia ancora oggi. I suoi artigli sono diventati tentacoli. Condivido idealmente la sorte di Kafka che scriveva

                                      ' Le norme della quadriglia sono chiare, tutti i ballerini le conoscono, sono
                                       valide per tutti i tempi. Ma uno di quei casi fortuiti della vita che non
                                       dovrebbero mai accadere, e che pure accadono di continuo, ti isola, solo
                                       soletto, in mezzo alle righe. Può darsi che questo provochi uno scompiglio
                                       nelle righe stesse, ma tu non lo sai, non pensi ad altro che alla tua infelicità'

Chiunque sia prigioniero di se stesso, capisce il Processo. La figura di Kafka è tutta intera nella sua stessa  letteratura, non solo nel Processo, ma anche negli altri romanzi più noti come 'America o il disperso' e 'Il Castello', come pure nei racconti, che sono pregni di tematiche quasi profetiche. In lui si vide a livello storico-sociale, l'antesignana vittima sacrificale dell'Olocausto e da un punto di vista letterario l'uomo inetto del novecento. L'uomo che non riusciva a rapportarsi alle donne, alla sua fisicità e alla propria appartenenza etnica e religiosa.
Il segreto di Kafka sta in un confine sconosciuto tra il suo torvo sguardo e le sue parole di pietra, che continuano a non chiedersi 'perchè', poichè già sanno.
Quando più tardi comprai i 'Quaderni in ottavo', che è una magnifica raccolta di aforismi e pensieri dello scrittore, trovai queste parole e compatii quell'uomo ossuto e 'disperso' in una breve frase, che Franz Kafka sembrava crudelmente urlare a se stesso

                                'Ti sei bardato in modo ridicolo per questo mondo.

Ecco che cos'era il processo. Un punto messo ad una vita. Un'autoanalisi che non ha lasciato scampo allo scrittore-uomo, perso in un eccellente mal di vivere.
Leggere 'Il Processo' è come staccare un intero costone di roccia alla monolitica costruzione dello scibile letterario, non rimarrà molto altro intorno. Ne sarete sopraffatti.

3 commenti:

  1. Una delle più belle recensioni che hai scritto.
    Il Processo...con quel finale che ti pugnala al cuore...
    Insieme al Libro dell'Inquietudine, fanno i capolavori più "laceranti" che abbia letto, in grado di fare davvero "male" fisicamente.
    Lo conservo nelle mie memorie letterarie più importanti, anche perchè, nello specifico, fu proprio Josef K. a dare inizio alla nostra kafkiana :-) amicizia.
    G.

    RispondiElimina
  2. Il mio primo incontro con questo mito è avvenuto al liceo, durante le lezioni di letteratura tedesca. Poche ore in cui attraverso la lettura di un brano di Der Prozess (in lingua originale, ovviamente) abbiamo soltanto "sfiorato" il vero Kafka.
    Prometto perciò di leggerlo interamente concentrandomi sugli aspetti di inettitudine alla vita che hai giustamente sottolineato. E poi ne riparliamo ;-)

    HS

    RispondiElimina
  3. Per restare in tema di sofferenze, domande e male di vivere...
    HS


    Cominciano ad accendersi
    le domande alla notte.
    Ve ne sono distanti, quiete,
    immense, come astri:
    chiedono da lassù
    sempre
    la stessa cosa: come sei.
    Altre, fugaci e minute,
    vorrebbero sapere cose
    lievi di te e precise:
    misura
    delle tue scarpe, nome
    dell’angolo del mondo
    dove potresti aspettarmi.

    Tu non le puoi vedere,
    ma il tuo sonno
    è circondato tutto
    dalle mie domande.
    E forse qualche volta
    tu, sognando, dirai
    di sì, di no, risposte
    miracolose e casuali
    a domande che ignori,
    che non vedi, che non sai.
    Perché tu non sai nulla;
    e al tuo risveglio,
    loro si nascondono,
    invisibili ormai, si spengono.
    E tu continuerai a vivere
    allegra, senza mai sapere
    che per metà della tua vita
    sei sempre circondata
    da ansie, tormenti, ardori,
    che incessanti ti chiedono
    quello che tu non vedi
    e a cui non puoi rispondere.

    Pedro Salinas

    RispondiElimina