MATRIOSKla

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sabato 26 novembre 2011

L'insostenibile leggerezza dei libri

Se ricordo bene, tutto è cominciato con la mia prima lettura 'letteraria', dopo il mio primo viaggio in Russia.
Tornando, decisi di fare conoscenza con Dostoevskij e presi in prestito, nella biblioteca comunale del mio paese, uno dei suoi capolavori assoluti: 'Delitto e Castigo'. Fu così che, nell'estate del 1994, ebbe inizio la mia passione per la lettura.
Stavo seduta sulla sedia di vimini dello mio balcone e leggevo Dostoevskij e dopo di lui Kafka, Hesse, Turgenev, Tolstoj. Da allora, nonostante non sia più seduta su quella sedia di vimini, la mia passione è continuata nel tempo. Nel tempo dell'università, quando leggevo alle 7 del mattino seduta nell'autobus e poi in piedi in metropolitana, dove era impossibile trovare un posto a sedere e, mentre uno sconosciuto mi alitava di fianco, io mi figuravo le mirabolanti avventure di Cicikov ne 'Le Anime Morte' attraverso la campagna russa e la sera, tornando, questa volta in piedi sull'autobus rileggevo 'Il Processo' di Kafka e poi alla sera, prima di addormentarmi nel letto, ricordo le notti insonni mentre divoravo 'Il Dottor Zhivago'. Non smettevo mai di leggere, nemmeno quando l'oculista mi diceva di riposare gli occhi perchè continuavo a perdere diottrie. Sono diventata miope. Forse è stata un po' colpa anche della letteratura tedesca, di Isaac Singer, di Heinrich Boell, di Goethe e di nuovo di Kafka con il suo 'Castello' e il suo 'America'. Quando passavo gli esami, il mio personale premio era andare a comprare un libro alla libreria dell'università. Mi aspettavano i poeti russi, gli autori cechi e di nuovo Dostoevskij con i suoi 'Demoni', 'I Fratelli Karamazov' e 'Umiliati e Offesi'.
Durante le vacanze di Pasqua e di Natale sceglievo dei libri che si addicessero alle atmosfere: 'Anna Karenina' o 'Il Maestro e Margherita'. C'era sempre un modo per leggere. Di notte con le braccia scoperte al freddo o d'estate tormentata dall'afa cittadina e dalle lenzuola troppo calde.
Anche quando ho iniziato a lavorare avevo con me sempre un libro. Di musica, o che parlasse di Russia, di viaggi, di poesia. Durante i turni serali all'aeroporto di Malpensa, nel silenzio delle hall ormai desolate portavo con me i pensieri di Pessoa e la sua inquietudine; tra un lavoro e un altro, in ufficio, approfittavo per leggere qualche pagina di Pelevin.
A volte ho addirittura deciso di rifiutare degli inviti a uscire, per stare a casa a leggere. In quel caso forse si trattava di 'roba davvero forte'; forse era Murakami, che pure lui quand'era giovane rimaneva chiuso nella sua stanza a leggere anzichè uscire con gli amici.
Ancora adesso, questa passione non mi abbandona. Direi che è diventata quasi un'ossessione, soprattutto da quando con un amico, facciamo a gara a chi legge più libri. Sono arrivata ad un record di 50 all'anno. Quest'anno proverò a superarlo.
D'altronde leggo sempre, leggo in macchina mentre sono in coda ai lunghissimi semafori rossi, leggo mentre aspetto i miei studenti a lezione, mentre aspetto di mangiare, mentre sono in bagno, prima di dormire, mentre sono in attesa dal dottore e da molto tempo ho sviluppato anche una certa capacità a leggere anche mentre ascolto la musica o guardo un film. Sì anche davanti alla televisione.
Lo so, sono malata. Ma è una malattia stupendamente incurabile. Ora il problema è diventato soltanto dove mettere i libri in casa. Non ci stanno più e come una sorta di enorme cerchio che si chiude, sto tornando a prendere in prestito dei libri in biblioteca come facevo da studente.
Quanto mi sono costati tutti questi libri! Li ho tenuti così bene che potrei rivenderli e nessuno si accorgerebbe che sono stati già letti. Alcuni li ho foderati, in altri sono rimasti vecchi segnali libri, di alcuni ho sottolineato, in matita, dei passaggi irresistibili e certi versi li ho voluti imparare a memoria per non dimenticarli più.
Altri li ho persi per sempre nel vuoto della dimenticanza, altri ancora li ho maledetti, me li sono trascinati per mesi, li ho maltrattati per dar loro una personalità - ma sono pochi -, li ho quasi sempre scelti con cura, come  dei pezzi di una preziosa collezione, ho prestato attenzione alle copertine, all'odore della carta, alla piacevole sensazione che provoca toccare i nomi in rilievo sul frontespizio.
Ho letto libri in ogni parte del mondo. Negli aeroporti di Mosca, Osaka, Boston, L'Havana, Chicago, New York. Ho letto sulle panchine di Lisbona, sulle spiagge di Zanzibar, della Tailandia e negli hotel di Washington D.C., di San Pietroburgo, di Dubai e di Istanbul. Ogni libro che ho portato in viaggio con me era un pezzo di quel paese, per derivazione o per adozione, per capire e per imparare.
Non avrei mai potuto essere ciò che sono senza quei libri nelle valigie, nelle borse, negli zaini, sotto le braccia, nelle mie mani. Ancora adesso non vado da nessuna parte se non ho un libro con me.
Quando ero una lavoratrice dipendente godevo di questo pensiero: 'ora leggo dieci minuti, così mio caro datore di lavoro, ti frego dieci minuti dei tuoi soldi e mi avrai pagato per leggere'.
Ora il mio pensiero è: 'non voglio i soldi di nessuno per leggere, voglio solo avere la libertà di continuare a farlo'.

1 commento:

  1. :-)
    quest'anno devi batterlo, quell'amico imbroglione con cui fai la gara di libri letti!

    Come sempre, è piacevole leggere i tuoi pensieri.
    Ciao!
    G

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