MATRIOSKla

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sabato 30 luglio 2011

Murakami Haruki e 'The year of spaghetti'

Quando sono in astinenza da ramen, mi attacco alle poco raccomandabili confezioni leofilizzate che trovo comodamente al supermercato e, illudendomi che queste possano darmi le stesse sensazioni di un ramen giapponese cucinato in un vero ristorante, mi siedo al tavolo e inizio a gustarmeli.
Tempo fa, trovandomi con la testa quasi del tutto affogata nella scodella e con tanto di bacchette e cucchiaio per gustare (e ahimè anche succhiare proprio come fanno i giapponesi) i miei spaghetti pronti, mi è capitato di ripensare a un racconto del maestro Haruki Murakami.
Ovviamente il collegamento non era poi così improbabile dato che il titolo recita The year of spaghetti.
Si tratta di uno dei 24 racconti contenuti nella raccolta Blind Willow, sleeping woman, che ho letto nell'edizione americana. In italiano il libro si chiama 'I salici ciechi e la donna addormentata' ed è di recente pubblicazione, precisamente del 2010.

Ho provato a fare questo esperimento di degustazione ramen e di lettura, allo stesso tempo, di questo breve racconto, dove Murakami narra la storia di un tizio che non riesce a vivere un giorno della sua vita senza mangiare spaghetti. L'anno in questione è il 1971. 
Ovviamente gli spaghetti in questione però sono italiani. Un giorno, in un momento di quiete di una vuota giornata invernale, il protagonista viene raggiunto da una telefonata. E' la ex fidanzata di un suo amico che la ragazza sta cercando disperatamente. Non volendo impicciarsi degli affari altrui, non rivela alla ragazza alcuna informazione e dovendo inventarsi una scusa per liberarsi di lei, le dice che in quel momento si trova nel mezzo della preparazione di un piatto di spaghetti.
Quasi come se gli spaghetti fossero un'unica àncora di salvezza per fuggire dalla realtà, l'accanito consumatore  riesce a divincolarsi da un'ambigua situazione facendo credere alla ragazza di essere occupato in un'azione materiale probabilmente molto simile ad altre nella vita di chiunque.
In realtà nessuno sa quanto quel trovare ricette e condimenti sempre diversi, quel cucinare spaghetti in modo spasmodico, il dipendere da un'azione ripetuta infinite volte ogni giorno nasconda invece una precisa strategia di sopravvivenza.
Per il protagonista, l'enorme pentola di spaghetti è il posto dove rinchiudere se stesso e il proprio isolamento, è il modo di dichiarare non belligeranza con alcuno, è la volontà di rimanere oltre il confine della vita in una comunità, è l'estraneazione - tra l'altro leit motiv sempre presente nei libri di Murakami - da qualsiasi fatto; la neutralità assoluta.
Cuocere degli spaghetti di grano duro in una pentola 'grande tanto da poter contenere un pastore tedesco' può dare forse l'unico senso alla vita di un uomo esiliato nella sua solitudine. Dunque, dall'ultima parola evidenziata in corsivo dall'autore, si capisce quale sia il senso di questo racconto.
In seguito ad una volontà di autoconfinamento, il 'mangiatore di spaghetti' trova un colore, un nome e un significato al suo stato di abbandono.
Un racconto che ho trovato geniale, perchè è una potentissima metafora, narrata con un tono delicatissimo e attraverso un'immagine che penso nessun italiano, proprio come conclude il protagonista, abbia mai pensato guardando il proprio piatto di spaghetti.

'Can you imagine how astonished the Italians would be if they knew that what they were exporting in 1971 was really loneliness?'

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