MATRIOSKla

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domenica 22 aprile 2012

Neil Young - Rust never sleeps

Non so perchè, ma i dischi che hanno fatto la storia della musica, quelli che per esempio entrano nella classifica di Rolling Stone dei 500 album più importanti di tutti i tempi, si riconoscono subito. Il primo ascolto di solito è fatale, ti lascia addosso l'idea di aver appena ascoltato non solo delle canzoni, ma delle vere e proprie confessioni private, di avere aperto il diario personale di qualcuno che voleva dire a se stesso o al mondo qualcosa di speciale.
Ecco qual è stata la mia prima impressione del primo ascolto di 'Rust never sleeps' di Neil Young e dei Crazy Horse del 1979.
Poi, esistono quelle strane alchimie, per cui tu magari scopri casualmente un disco nel momento in cui stai leggendo un libro e ti accorgi che le due cose si fondo senza soluzione di continuità e non capisci se è solo un caso o se una mano invisibile ha unite per sempre questo momento, gettandoti in uno stato di grazia.
Ho ritrovato nel mio lettore mp3, senza ricordarmi da dove arrivasse o perchè, il file di questo disco scaricato da qualche parte. L'ho ascoltato con enigmatica curiosità, così come con lo stesso moto ho letto 'Non è un paese per vecchi' e la miscela è esplosa in una sorta di molotov immaginaria.
Ma, al di là delle mie farneticazioni riconducibili alla mia personale teoria per cui 'tutto è collegato', il disco è un capolavoro di musica folk e rock. 
Tristemente noti sono alcuni versi della canzone che apre l'album 'My My, Hey Hey (Out of the blue)'.
Kurt Cobain, infatti, citò nel biglietto d'addio prima di suicidarsi 'it's better to burn out than to fade away', ovvia citazione di quel brano. Ma non solo, questa è una canzone dedicata alla storia del rock e dei suoi miti all'epoca scomparsi da poco. Elvis Presley e Johnny Rotten dei Sex Pistols. Anche  la seconda canzone 'Thrasher', si trova di nuovo la morte, dove la trebbiatrice ne è una metafora. Neil Young racconta il rapporto suo e dei suoi amici con la popolarità e la facile vita dell'artista perduto nella sua autocelebrazione. 
'Ride my Llama' e 'Pocahontas', invece sono dedicate alla vita e alla storia degli Indiani d'America. Da qui in avanti il disco diventa più rock ed elettrico, meno malinconico, meno disco on the road, ma sempre molto americano. Immaginatevi una macchina scoperta e una giornata limpida e arida nel deserto, i canyon degli Indiani nelle riserve appena lasciati alle spalle, la chitarra diventa un fucile come quello di Anton Chigurh mentre segue la sua prossima vittima, la voce di Neil Young si fa da parte e si acquatta come un cacciatore e sotto l'ombra di un unico albero continua a raccontare quelle storie di confine, di strada, di far west, ma non dalla parte dell'uomo bianco, non come lo farebbero tutti, piuttosto come farebbe qualcuno venuto da Marte.

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