MATRIOSKla

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martedì 13 dicembre 2011

Murakami Haruki e 'Nausea 1979'

Ogni tanto rileggo i meravigliosi racconti di Murakami. Questo mite inverno concilia. Non è troppo immobilizzante, ma ogni tanto fa anche venire voglia di accomodarsi con una lettura piacevole, di quelle oculatamente scelte. Riserbo i miei momenti di solitudine diurna ad una mia personale cerimonia del tè, che di quella vera non ha niente. Forse di originale ci sono solo il tè verde che arriva dal Giappone e la teiera con la tazza, che mi sono stati regalati dalla mamma di Taichiro, durante la nostra permanenza a Osaka. Aggiungerei anche il mio prezioso tappetino da tè di Hello Kitty, che ho comprato a Tokyo. Insomma tutto combacia perfettamente, rimane solo la scelta del racconto.
Di recente ho riletto 'Nausea 1979'.
Per prima cosa mi ha stupito il fatto che, di tanti racconti che ho letto, questo è probabilmente l'unico in cui finora il Sig. Murakami viene citato con il suo nome. Il protagonista del racconto è un giovane amico dell'autore, un illustratore di racconti e collezionista di dischi jazz degli anni '50 e '60, con il quale Murakami scambia alcuni pezzi della sua collezione e del quale conosce la turbolenta vita privata e sessuale. Il protagonista, di cui non si sa il nome, ha il vizio di intrattenere relazioni fisiche solo con le fidanzate dei suoi amici.
Grazie ad un diario personale, il giovane riesce, a distanza di anni, a rammentare il periodo preciso in cui si verifica un inspiegabile avvenimento. Dal 4 giugno al 14 luglio del 1979, le sue giornate sono caratterizzate da una forte nausea, che lo porta a rigurgitare tutto ciò che ingerisce, sia cibo che liquidi. A questo fastidioso problema, si aggiunge il ricorrere di una telefonata anonima che lo perseguita ovunque si muova e si trovi.
Il piccolo mistero che avvolge questo evento si risolverà semplicemente con la sparizione della nausea e della telefonata, così come erano altrettanto semplicemente comparse.
Il tema di questo racconto evoca il quesito esistenziale del senso di colpa. Ancora una volta potrei vedere la passione di Kafka dell'autore. Quest'ultimo, infatti, aveva fatto del senso di colpa una sua costante letteraria.
Nonostante l'abietta abitudine del protagonista di questo racconto di intrattenere relazioni con donne già impegnate e la sua totale indifferenza alla moralità di questo comportamento, qualcosa in lui di simile ad una coscienza psicofisica si risveglia comunque. Forse quella telefonata è un'eco dei suoi rimorsi, forse quella nausea è una risposta incondizionata alle sue azioni. La chiamata è un giudizio, la nausea è una purificazione o l'inconscia volontà di questa. Ma, durante la dissertazione finale dei due personaggi, si profila anche l'eventualità del caso.
Murakami vuole, forse, mostrare entrambi i lati possibili di una vicenda senza fornire un giudizio definitivo, ci mostra come l'uomo possa essere al tempo stesso vittima di se stesso e carnefice nel mondo o come possa non essere nemmeno alcuna delle due cose.
Come sempre adoro l'introspezione psicologica dei personaggi. Adoro l'attenzione al particolare, il dettaglio che diventa condizione universale umana, come sempre ammiro il modo in cui Murakami riesca a tirare fuori da un apparente nulla un caso letterario e umano sul quale riflettere.
Non consigliato ai deboli di stomaco!

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