MATRIOSKla

MATRIOSKla

giovedì 22 settembre 2011

Osennij Marafon

Uno dei tanti film sovietici che adoro si chiama Osennij Marafon, ossia la maratona d'autunno.
Uno di quei film intrisi di sovietismo fino all'inverosimile, ma che porta con sè anche l'universalità del genere umano a discapito di qualsiasi differenza sociale. Inutile dire che ho imparato molto dell'animo russo anche da questa pellicola e che ho ritrovato preziosissimi particolari della vita russa in vari momenti.

Osennij Marafon è la storia di un professore e traduttore letterario, Andrei Pavlovic, che si ritrova attanagliato dalla terribile necessità di dover scegliere tra una vita tranquilla con la moglie in seno alla sua famiglia o se optare per un cambio totale e andare a vivere con l'amante. A parte donare tutta la mia comprensione al protagonista per l'immenso sforzo operato nel dividersi e dividere la sua vita tra le due donne, ho guardato e riguardato questo film per almeno tre motivi. Il primo è per godere della magnifica vista dell'alba su una Leningrado del 1978 grigia e freddissima, in una delle scene in cui Andrei Pavlovic torna a casa dalla moglie dopo aver trascorso la notte con l'amante. La cupola d'oro di Sant'Isacco è un unghia pittata dall'antico splendore pietrino sullo sfondo di una città divorata dal grigiore cementifero delle costruzioni sovietiche e l'alba che irrora questa mortifera visione è la stessa alba che costituisce il secondo motivo per cui adoro questo film. E' all'alba, infatti, che il professore si incontra con il suo amico danese Bill - con il quale sta tentando di tradurre Dostoevskij- e vestito con calzamaglia e tuta da ginnastica attillata in puro stile anni 70, tutte le mattine, esce a correre per mantenersi in forma. 
E' all'alba che il professore, nell'illusione di scappare dalla rete in cui la sua condizione di eterno indeciso è rimasta impigliata, diventa il maratoneta dell'autunno e l'autunno è lo stesso sfondo su cui si staglia quella meravigliosa tradizione russa riassunta da una tragicomica scena, in cui Bill e il vicino di casa di Andrei, Vassili  Ivanovic, si trovano nel bel mezzo di un tipico bosco russo, con la tipica betulla bianca e solitaria, con indosso scarponi e bastone per andare alla ricerca di funghi. Ed è questo il terzo momento. Non c'è niente di più russo che possa annunciare l'arrivo della stagione autunnale, come una scampagnata nelle piatte e sconfinate lande per cercare i funghi, che le donne e le babushke russe metteranno a marinare sottovetro e riporranno nel doppio fondo delle finestre di città per mantenerli freschi abbastanza da poterci fare ottime zuppe per l'inverno. 
Ci sono tanti altri piccoli motivi per cui questo film, ai miei occhi e forse anche a quelli dei russi stessi, esso sprigioni tutta la sua 'russità'. Uno fra tutti, l'iniziazione alla 'vacanza alcolica' da parte del pestifero vicino di casa nei confronti di Bill. Quando tutti sono seduti al tavolo della cucina di Andrei Pavlovic il primo brindisi è 'alla conoscenza'; cosa alla quale i russi tengono particolarmente ad osservare quando bevono in compagnia e quando c'è un nuovo arrivato.
Dopo il brindisi, il vecchio vicino annusa, in un altro gesto molto russo, una fetta di pane nero per contrastare il sapore stucchevole della vodka, appena ingurgitato in un unico rigoroso sorso. Ma la 'russità' raggiunge il suo culmine con la frase conclusiva della bevuta 'chorosho sidim', una di quelle espressioni della lingua russa quasi non traducibile, con la quale si vuole comunicare la predisposizione del popolo russo a identificare un momento conviviale con il momento di sorbire l'acquetta (come loro la chiamano), ovvero la vodka.
Il verbo 'sidit' significa 'stare seduti', accomodarsi e lasciarsi andare al momento di abbandono e di riposo che susciterà l'alcol.
La colonna sonora di questo film è l'inconfondibile gingle che rimane nella mente, che ossessiona e accompagna gli spostamenti frenetici del protagonista, una marionetta ipnotizzata da queste potenti note e fino all'ultima scena indeciso, incapace, inetto come un sovietico Peciorin di 'Un eroe del nostro tempo', come un tiepido idiota dostoevskijano perso nella nebbia della sua corsa mattutina contro se stesso, contro la lugubre Leningrado e la ripetitività ossessiva della monotonia sovietica di quei tempi andati.

3 commenti:

  1. È un film fantastico! Gli attori sono bravi e anche il regista! "Chorosho sidim!"

    RispondiElimina
  2. È un film fantastico! Gli attori sono bravi e anche il regista! "Chorosho sidim!"

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie Ell Darrio per il tuo commento! Sei un russofilo anche tu?

      Elimina