Chi sa già che cosa sia la taskà russa probabilmente si chiederà come si possa parlare di un tale fenomeno che, come tanti sentimenti per lo più viscerali, non è affatto semplice esprimere.
Diciamo che più che spiegare le cause di uno stato d'animo tanto enigmatico, quanto trascinante, si può solo tentare di raccontarne gli effetti.
Quando penso alla Russia, spesso mi attanagliano innumerevoli ricordi del passato, più o meno ciò che molti russi di talune generazioni vivono nel loro paese quando ad esempio esso aveva un altro nome e si chiamava Unione Sovietica; quel paese che offriva la favola politica dello zucchero a buon mercato, della sanità gratuita e delle ferie pagate, tanto per dirne qualcuna.

Tutta la cultura russa è imbevuta di taskà a partire dalla letteratura.
Anton Checov ha scritto uno dei suoi più profondi e misteriosi racconti intitolato proprio 'Taskà' e nelle 'Tre sorelle', Irina esclama malinconica '...a Mosca!... a Mosca!' e dunque anche quella è taskà.
Quando penso alla Russia, sebbene sia un immenso paese, lo riassumo in un'unica parola: Moskva.
So bene che la Russia è immensa e che parlare solo di Mosca è riduttivo, ma già tutto ciò che ho trovato a Mosca è stato immenso e spesso, desiderando di essere lì quando questo non è possibile, mi prende la taskà.
Mi prende di pomeriggio, quasi sempre inizia in autunno, sul finire di settembre, quando la luce del sole comincia a farsi obliqua e le prime folate di vento non portano più con sè aria calda, ma una leggere brezza.
Allora mi viene voglia di guardare un film russo e spesso la scelta ricade su 'Osennij Marafon', oppure su 'Moskva slezam ne verit', che amo particolarmente perchè pare abbia una sorta di potere taumaturgico, dato che in italiano significa 'Mosca non crede alle lacrime'.
Dunque preparo il mio 'pomeriggio russo' e magari me ne vado al mercatino di cascina Gobba o al negozio russo di Milano, Kalinka e comincio a procacciarmi tutto quello che di russo mi piace mangiare e bere: una birra Baltika numero 3, del caviale rosso, gli immancabili solionnije agurzy, il pane nero, le bustine di calamaro essiccato da accompagnare alla birra e mentre torno dal negozio la sento montare in me questa taskà.
A quel punto vorrei essere a Mosca per sentir parlare russo. Per fortuna, nell'era di Internet, basta un click per trovare Radio Moskva o Govorit Moskva e ascoltare delle voci lontane che entrano dentro casa. Preparo il mio spuntino, tiro fuori il bicchierino di cristallo pesante con tanto di gambo, acquistato al mercatino di Izmailovskij e comincio con la prima ryumka. Ho già gli occhi lucidi e la taskà alle stelle.
Dopo che il videoregistratore si è inghiottito la mia VHS del film sovietico, mi accomodo sul divano e la taskà sprofonda con me tra i cuscini, quando prima della visione del film si vede il logo della MOS-film, la casa di distribuzione sovietica più famosa di tutte le russie.
Allora taskà è perdere gli occhi nella fatiscente periferia di Mosca costellata di palazzoni bunker identici l'uno all'altro, che aprono le scene di 'Sluzhebnij roman' e ricordare Mosca del 1994 appena uscita dalla prigione sovietica, quella che sono riuscita a vedere in tempo io a soli 18 anni, prima che diventasse una seconda opulente Montecarlo negli anni zero.
Ma taskà è anche aprire le anime morte di Nikolaj Gogol al segno lasciato nel libro letto ai tempi dell'università e immalinconirsi su questo passaggio:

Taskà è aprire un barattolo di Salyonnie Agurzi e odorare l'aroma pungente dei cetrioli che le babushke coltivano nelle loro dacie e poi vendono ai bordi delle strade di Mosca durante l'inverno per arrotondare la pensione, rischiando il congelamento. La taskà è di un colore rosso porpora come la tinta che assume il borsch russo preparato con la barbabietola, l'aneto e la smetana.
Se poi per caso guardo la mensola della mia libreria di fianco alla scrivania e vedo il 45 giri dell'Inno delle Repubbliche Socialiste Sovietiche e mi viene voglia di cantarlo, allora so che sono al limite della più turpe taskà! Quando torno indietro nel tempo e ripenso alla madre Russia, immagino la servitù russa appollaiata sulle stufe di maiolica dei libri di Saltykov-Scedrin, quella gente che si riposava dalle fatiche dei lavori nei campi e si ripara dalla metel', il vento che Pushkin reputava solo russo: implacabile e impietoso come le disgrazie dei popoli slavi, quelle forse portavano con sè una gelida taskà.
Ma mi assale quasi come un attacco mortale la taskà della sera, quando penso alle cucine delle kommunalka di Mosca, dove un tempo e chissà forse ancora si recitano i versi di Anna Achmatova, Blok e Pasternak.
E poi ancora, dopo qualche brindisi e le cantate con la chitarra di Vladimir Visozkij, oppure la solita struggente e mai esauribile taskà di Oci Ciornie.
Non c'è fine alla taskà...già il nome trascina con sè una rima infinita, un riverbero che ricorda il mugghio del mare, un'eco che risuona nelle steppe desolate di questo adorato paese delle meraviglie.
E poi ancora, dopo qualche brindisi e le cantate con la chitarra di Vladimir Visozkij, oppure la solita struggente e mai esauribile taskà di Oci Ciornie.
Non c'è fine alla taskà...già il nome trascina con sè una rima infinita, un riverbero che ricorda il mugghio del mare, un'eco che risuona nelle steppe desolate di questo adorato paese delle meraviglie.
"Come un amore maturo, un amore che continua a portarmi lì, come un moto di risacca...Toskà!"
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