Immagino Gabriela Beatriz che nasce il 16 maggio 1970 all'Hopital Italiano di Buenos Aires, in una famiglia benestante di origini italiane e che trascorre la sua infanzia nella villa di campagna di Villa Devoto. La riga di mezzo, la racchetta di legno, i completini anni '70 super stretti e una ragazzina coi codini, che prende a pallate il muro del River Plate Tennis Club, di cui la sua famiglia diventa membro. Bastano pochi colpi, in una città dalle stagioni al contrario - e come lei stessa anni dopo dichiarerà - per innamorarsi del tennis a prima vista. Ha solo 6 anni e il vento caldo dell'emisfero australe soffia tra i suoi capelli e asciuga il sudore intorno al suo collo, lasciando trapelare una malinconica attitudine al campo da tennis e un carattere schivo alla popolarità. A 11 anni la ragazzina ha già un allenatore che la porta in giro per il Sudamerica e quel vento che schiaffeggia le sue lunghe gambe abbronzate e asciuga i fili dei suoi capelli corvini adagiati sulle spalle, la trasporta fino in Francia per vincere il Roland Garros Juniores e diventare a soli 14 anni una campionessa prodigio.
Le danze si aprono e il circuito professionistico e i suoi campi sintetici ardono sotto le sue Sergio Tacchini Sabatini Competition. La debuttante è nella mischia: i cieli dell'Australia, dell'America, dell'Europa la guardano dall'alto, mentre corre dentro un colorato rettangolo. Nel 1985 è ufficialmente una giocatrice professionista. Gaby, adolescente e timida, gira il mondo con le canzoni di Phil Collins nelle cuffie del suo walkman, partecipando ai tornei più prestigiosi e ben presto ottiene risultati importati, conquista stuoli di ammiratori per la sua malìa e per una certa indifferenza al palcoscenico. A soli 15 anni soltano Chris Evert e Martina Navratilova la fermano prima del traguardo dei tornei dello Slam. Ma loro sono già delle veterane, mentre la ragazza ancora si deve fare e siamo nel cuore degli anni '80, quando tutto il futuro è ancora davanti. La professionista deve imparare come gestire la sua popolarità, come alzare lo sguardo e non incurvare le spalle quando schiere di fans la accolgono agli aeroporti di Miami e di Ezeiza a Buenos Aires, entrambe sue residenze, mete di fuga dal frastuono e dalla pressione di un pubblico che la divora con gli occhi. Gabriela Sabatini incontra la sua spietata, algida, biondissima rivale Steffi Graf. Ci sono da subito tutti i presupposti perchè questa rivalità sia un giorno leggenda. Gabriela perde il primo di altri 39 lunghissimi confronti diretti che seguiranno nel corso della sua carriera contro la numero uno del mondo incontrastata, ma il cammino è ancora lungo. Lungo come la pista che deve percorrere come portabandiera nazionale per i colori dell'Argentina alla cerimonia d'inizio dei Giochi Olimpici di Seul del 1988, ha ancora solo 18 anni. Lo sguardo è triste mentre durante la premiazione Gabriela fissa la bandiera del suo paese; d'altronde in una terra chiamata Argentina può portare con sè, legata al collo, mentre sbatte pesante sul suo seno di giovane donna proprio una magnifica medaglia d'argento, appunto.
A un passo dalla vittoria nella semifinale US Open 1988 contro una Steffi Graf che cercava di vincere il Grande Slam, appare sullo schermo della mia tv in una calda sera di settembre, per la prima volta. Da quel giorno ho portato con me la sua figurina di Seul nella tasca posteriore dei jeans per anni, ho comprato la mia prima e unica maglietta da tennis con gli sbaffi rosa fluorescenti con cuo ancora gioco e ho imparato a memoria il suo modo di sorridere.All'alba del nuovo decennio, sul campo centrale di Flushing Meadows a New York, per l'esattezza al Corona Park, 'Miss Sabatini', come si usa chiamare le tenniste sul campo, diventa campionessa e vince il suo primo e unico titolo di uno Slam in finale contro Steffi Graf. Gli occhi brillano, la coppa si alza al di sopra delle sue spalle che spuntano da una maglietta bagnata, la folla è in delirio. Lo stesso traguardo viene mancato di un soffio l'anno successivo, quando riesce ad arrviare a soli due punti da vincere il torneo di Wimbledon e perde l'occasione della sua vita; quella di diventare numero uno del mondo.
Ma il mondo è un altro e ama questa magnifica eterna seconda. Il suo destino è stato quello di capitare in un decennio di tennis che non si ripeterà e le sue vittorie sono il lottato ricordo di una sfida tra titani partoriti dalla fantasia e da un'era che non esiste più e che è partita per un viaggio verso galassie sconosciute, là dove stanno di casa le stelle. Il campo centrale del Foro Italico di Roma l'ha amata come una divinità: questo nome familiare, le sue sembianze mediterranee, una modestia singolare, una bellezza dirompente, ormai, e un talento ancora di ragazzina, che era brava ma non voleva credere che oltre a quel muro del Club del River Plate ci sarebbe stata una carriera di trionfi, seppure contro ogni probabilità.
Ho avuto l'onore di conoscere Gabriela Sabatini di persona, di avere una foto (non proprio ottima) con lei e un autografo. E' successo durante il torneo di Roma il 6 maggio del 1992, avevo solo 16 anni e quella sera ero sul tetto del mondo. Da quel giorno, da buona fan che si rispetti, ho pensato che tutto il resto intorno a me poteva anche non esistere più, perchè il mio obiettivo era stato raggiunto.
Buon Compleanno mio splendido idolo dell'adolescenza, io avrei voluto essere come te...e un po' lo sono stata.
Ma sei tu quella dietro Gabriela? Quasi non ti si vede (né riconosce...). Cosa le hai fatto per farla arrabbiare così?? :-P
RispondiEliminaHS
Oh Gaby .... meravigliosa Gaby!!!
RispondiEliminaChi sei azimut?
RispondiEliminaAnche tu un/a fan storico/a?
Dimmi di più...
Grande gaby
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