Se fossi un insegnante di letteratura italiana e dovessi insegnare che cos'è una figura retorica e in particolar modo una metafora, senza dubbio, sceglierei di spiegarmi attraverso questo film.
Zabriskie Point di Michelangelo Antonioni del 1970 fu, dal punto di vista economico un colossale fiasco e dal punto di vista della critica, motivo di derisione su tutti i fronti. La scarsa performance dei protagonisti e l'assenza di volti noti o star di hollywood nelle interpretazioni, hanno lasciato cadere nel vuoto questo film super-intellettualoide per moltissimo tempo.
Penso che non siano graditi gli spoilers e quindi non starò a raccontarne interamente la trama, per non rovinare la sorpresa a coloro che fossero interessati a guardarlo. Ma come spesso mi succede di fare, ormai, vorrei soffermarmi su alcune caratteristiche del film e sui suoi punti di forza.
Sul finire degli anni '60, in pieno clima di proteste e rivolte studentesche universitarie, Mark Frechette si materializza come pseudo-eroe di una storia qualunque - in realtà foriera di una pesante critica da parte del regista Antonioni nei confronti della società moderna post guerra mondiale - in piena fioritura economica.
Magistrale metafora delle ingiustizie politiche, dei dibattiti militanti e dell'amore libero, nonchè dei costumi sociali inglobati e deturpati dalla speculazione economica, il film si apre su un atto di violenza.
Mark, scarmigliato e provocatorio, si macchia di un delitto quasi giustificato, per cui la violenza è un mezzo per emergere dalla fagocitazione globale e, commesso il fatto, l'unica via di salvezza che gli rimane è la fuga.
La prima metafora, quella della dipartita su di un aeroplano privato rubato in un hangar, indica la propensione iconoclasta del protagonista. Quando Mark e Daria dipingono l'aereo, sfigurandolo, nè distruggono in vero, la sua integrità e anche quella del proprietario. L'aereo, a sua volta, metafora di un mezzo d'elevazione al di sopra delle prospettive convenzionali, permette a Mark di osservare la coltre di smog che imprigiona Los Angeles e ne accentua la sua dannata predestinazione di città priva di un cuore e dotata soltanto di quelle arterie-freeway che collegano pezzi di un agglomerato urbano scevro di continuità, isolato e poco distante dal deserto.
Il deserto, quello della Death Valley in California, visto dal punto di osservazione chiamato proprio Zabriskie Point, rappresenta l'acmè del film. Il deserto è il simbolo dell'ultimo avamposto rimasto disponibile per la coppia Mark-Daria, che colta dall'oblio della loro provenienza fisica e sociale, si abbandonano ad un amplesso polveroso e disinibitore, circondati dall'aridità desertica che li sovrasta. Estendono la loro passione fisica ad altri ignoti personaggi che, a guisa di una psichedelica allucinazione, si producono in un'orgia plastica dove tutto è concesso. Gli scenari, i colori, la natura avulsa dalle dinamiche degli ordini sociali costituiti nelle città, sottolineano la pochezza dell'essere umano, restituiscono il potere della nullificazione a questo stralcio di mondo selvatico e desertico e ne ribadiscono la supremazia assoluta sulla civiltà.
La metafora più potente, quella che mi lasciò totalmente atterrita, - poichè da allora ho creduto che nessun'immagine potesse esprimere meglio proprio il concetto di metafora - è la scena finale, in cui Daria, trafitta dalla notizia della fine di Mark, immagina in un'ossessiva reiterazione allucinatoria, la distruzione del microcosmo imperialista, materialista e impietoso, rappresentata dall'esplosione della villa estiva del magnate per il quale lavora.
Daria diventa un detonatore dell'opulenza endemica, che ha vanificato i gesti di libertà idealista di Mark.
La metafora visiva si rafforza in un melànge proto-psichedelico, quando dall'iniziale silenzio mortale della scena, si arriva all'ascolto in sincrono della canzone dei Pink Floyd, Come in number 51, your time is up. Un brano cripticamente somigliante a Careful with that axe, Eugene, che raccoglie nel suo sound distruttivo, il boato delle chitarre, delle percussioni e dell'urlo straziante della voce di Roger waters, che fanno idealmente refluire le speranze del giovane Mark dentro un immaginario canale di scarico, dentro il quale finisce e si disintegra, non solo il simulacro della società capitalista rappresentato dalla casa di proprietà, ma anche il gesto anti-eroico di Mark attraverso il film, culminando in un surreale e cataclismico finale.
Ancora una volta la musica è una parte dominante del successo del film. La colonna sonora rappresenta un tassello inscindibile dal lavoro di Antonioni, grazie a performance straordinarie come quelle dei Pink Floyd, dei Grateful Dead a e di Jerry Garcia, insieme a molta altra musica psichedelica.
Il mio voto a questo film è 9/10.
Mamma mia, che belle cose che scrivi. Sono arrivato fin qui cercando Lilicka di Majakovskij. E già questa è una meta meravigliosa. E poi Antonioni e i Pink Floid. Leccornie della mia gioventù.Approvo in pieno quanto scrivi su Murakami:
RispondiEliminaatmosfere per volare. Insomma è stato un piacere averti incontrato/a.