MATRIOSKla

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giovedì 19 maggio 2011

HOLGA che mania!

Per i maniaci della perfezione fotografica e per quelli che hanno dimenticato come sia fatta una pellicola, la rudimentale e ingenua Holga non dice sicuramente granchè. Ma per chiunque voglia fare un passo indietro nel tempo, questo piccolo gioiello potrebbe significare molto. Ora il problema sarebbe soltanto quello di dare un significato all'espressione 'indietro nel tempo'.

La Holga nasce in Cina nel 1981 come una macchina fotografica destinata alle masse: facile da usare e molto economica, dotata di una pellicola in formato 120. Nello stile e nella funzionalità la Holga riprendeva il precedente modello di fotocamera analogica economica Diana, concepita a Hong Kong negli anni '60.

Nonostante la sua breve popolarità e il suo effimero utilizzo ben presto sorpassato da modelli di fotocamere con il classico rullino da 35mm, che spopolerà nella Cina stessa e nel resto del mondo, questo oggetto si diffonde anche ad occidente fino a diventare, ai nostri giorni, oggetto di culto.
Per molti è curioso scoprire che perfino il nome 'Holga' non sia altro che la fusione tra oriente e occidente. Pare, infatti, che il nome sia un derivato fonetico della scrittura del termine Cantonese 'ho gwong' - che significa 'molto intelligente' - diventato poi, nel parlato occidentalizzato, proprio 'Holga'.

Nel 2001, per il ventesimo anniversario dell'invenzione della fotocamera, più di mezzo milione di esemplari sono stati venduti in tutto il mondo e hanno generato un'ondata di revival simile a quella per il giradischi e i vinili e per tutto ciò che ormai viene definito vintage.

La Holga è ancora definita come un enigma e ha dato vita ad una concezione di arte fotografica completamente alternativa, tanto che alcuni professionisti e artisti si sono sbizzarriti ad usare in modo creativo questo strumento imperfetto. Già, perchè proprio i difetti e l'assoluta essenzialità, la quasi totale assenza di funzioni interattive - come oggi le conosciamo su ogni aggeggio tecnologico - sono il bello di questo oggetto misterioso. Chiunque entri nel mondo Holga, comincia a varcare la soglia della casualità, dell'inaspettato e dell'incuranza. L'imperfezione data dalla massiccia presenza di vignettature, infiltrazioni di luce e distorsione casuale del frame ne costituiscono l'effetto sorpresa della resa finale.
Si è creato attorno a quest'attitudine fotografica addirittura una filisofia, quella delle cosiddette '10 regole d'oro della lomografia' 

1. Porta la tua lomo ovunque tu vada
2. Usala sempre di giorno e di notte
3. La lomografia non è un'interferenza nella tua vita, ne è parte integrante
4. Scatta senza guardare nel mirino
5. Avvicinati più che puoi
6. Non pensare
7. Sii veloce
8. Non preoccuparti in anticipo di quello che verrà impresso
9. Non preoccuparti neppure dopo
10. Non ti preoccupare di queste regole

Piuttosto bizzarre come regole, d'altronde rispecchiano completamente la natura della Holga. Un quadrato di plastica leggerissimo, apparentemente sproporzionato, che sembra appena uscito dalla cesta dei giocattoli di quando eravamo piccoli.
Se vi capita di vedere almeno alcune delle fotografie scattate con una Holga o una macchina di concezione Lomo (l'antenato sovietico, da cui la Cina ne riprese la costruzione e l'ottica per creare il suo modello, appunto), capirete immediatamente se quest'espressione artistica così anticonformista faccia per voi o meno.

Per quanto mi riguarda, il mio, è stato un amore a prima vista. Vedere per la prima volta una fotografia con la classica vignettatura agli angoli del frame mi ha riportato 'indietro nel tempo'. Così tanto che quell'effeto tunnel che si forma nello scatto sembra un ricordo impossibile da recuperare, riesumato dalla propria coscienza; oserei dire quello di una seconda nascita, un'uscita dalla placenta materna in piena facoltà mentale. Non solo, direi che l'effetto dei colori saturi e snaturati, rimandano alla musica, ai colori, alle reminescenze di anni sepolti nel passato, tanto da ottenere un risultato visivo psichedelico, lisergico, proprio come la musica degli anni 70, come i colori pacchiani e sgargianti delle macchine degli anni 60 e come i completi colorati alla Jackline Onassis, le camicie degli hippies di San Francisco e tutta la gamma cromatica della Summer of Love. Insomma, quando ho cominciato a scattare, ho sperato di ritrovare la mia memoria e addirittura la storia che mi ha preceduto.
Per il momento i risultati sono piuttosto soddisfacenti, ma sono solo agli inizi. Nelle foto seguenti ho ritrovato parte dei miei  ricordi dell'infanzia, reintrepretando soprattutto nella sovrapposizione delle pose, alcuni elementi dissonanti proprio come fossero sfigurati dall'ingordigia della mente, dal suo mdo di archiviarli senza un preciso ordine, ma pur sempre impressi nell'occhio della psiche più reconditae quindi mai perduti.
























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