MATRIOSKla

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mercoledì 4 maggio 2011

MERCURY REV - All is dream

CLASSICO DEL MESE: disco
Per chi vuole ascoltare sonorità davvero 'inaudite', consiglio un disco completamente fuori da ogni schema, definizione o catalogazione. Un disco che oserei chiamare classico, primo perchè ormai appartiene al trascorso decennio degli anni zero e secondo perchè, come tutti i classici, è un disco senza tempo e che non stanca mai, ovviamente, se si gradisce il genere. Sto parlando di 'All is dream' dei Mercury Rev, una band americana di Buffalo, che dalla fine degli anni 80 ha dato origine, insieme ad altre band quali Flaming Lips e Yo La Tengo, al filone musicale rock psichedelico.
Ho provato a darvi un'interpretazione attraverso la recensione qui sotto.
Enjoy it!


All is dream - Mercury Rev  2001

Più che musica psichedelica, i Mercury Rev di ‘All is dream’ sperimentano musica fuori dal tempo, sprazzi di ritorni ad ere geologiche sepolte nella prestoria o, per opposti, proiezioni futuristiche delle prossime disarmate guerre stellari. L’ascolto potrebbe partire dall’ultimo brano, per scoprire che ‘Hercules’, sorregge non a caso una sorte conclusiva e racchiude in sé, come in una specie di culla, entro la quale i suoni atemporali sembrano rimasti raggomitolati, il movimento di ‘ritorno’ che produce una risacca sonora, un’incalzante spirale che dalla fine scaraventa al vero inizio: ‘The dark is rising’. Ad essa spetta l’apertura trionfale da colonna sonora, un main theme che ricorda melodie morriconiane, che propone i temi epocali dell’amore, delle disfatte, delle rivelazioni. Il primo brano è un trampolino per un tuffo a picco da altezze vertiginose verso acque oscure. Ci sono quelle risucchianti di ‘Tides of the moon’, semplice nel testo, ma elaborato nel camuffato ritmo charleston, ci sono quelle della bellezza classicheggiante di ‘Chains’ tra archi e passaggi al pianoforte da inno di gioia. Nel cuore del disco, la vertigine culmina in un punto esatto, fluido come quello di un fondale marino da dove, come intrappolate in cave segrete, risuonano echi di sirene e rusalke in un coro angelico. E’ il coro che introduce e accompagna la voce bianca e spezzata di Johnathan Donhaue. Il fulcro è un genio magnifico di distruzione e dilatazione del suono, è ‘Lincoln’s Eyes’. Da millenni di musica affogati in parole insulse, come uscite dalla voce di un ‘terzo occhio della follia’ e da incanti sinistri, si passa ad un risveglio ad intermittenza dei sensi in ‘Nite and fog’ e ‘Little rhymes’, quest’ultima, splendida canzone alle soglie del pop ordinario anche se ancora deliziato da andature stranianti. Quasi in chiusura si aggiungono le melodiche filastrocche di ‘A drop in time’ e i ritmi in controtempo di ‘You are my queen’, che accompagna verso visioni proto-bucoliche, dove ragni, mosche e beate bestiole sono, in verità, metafore dell’amore. Onirico e storico questo disco, da sognare fino all’ultima nota e poi… dovreste svegliarvi, a meno che non crediate che ‘All is dream’…

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